Una gara d’appalto con molte ombre è quella relativa al nuovo servizio mensa nella Asl di Lecce. Esperita senza bando pubblico, arriva “stranamente” a sancire il principio del massimo rialzo, con buona pace della salvaguardia delle casse pubbliche. E il neo direttore generale Valdo Mellone promette: “Si ripartirà da zero, con un nuovo bando di gara”
È un appalto a sei zeri. Per otto mesi. Senza bando pubblico. Già questo basterebbe a far saltare dalla sedia. Anzi, sarebbe dovuto bastare a far saltare dalla sedia, già molto tempo fa, i vertici della Asl di Lecce. E invece solo ora si inizia a fare i conti con le incongruenze, troppe, relative alla nuova gara per il servizio di ristorazione negli ospedali della provincia. Nell’inchiesta partita dall’emittente televisiva TeleRama si evince come in ballo c’è la bellezza di oltre 13milioni e 400mila euro, vale a dire 6 milioni e 7mila euro per ogni tranche di otto mesi.
Siamo ora nella fase dell’affidamento, l’apertura delle buste c’è già stata e ha riservato una sorpresa amarissima. Ad aggiudicarsi la gara dovrebbe essere il Raggruppamento temporaneo di imprese Gemeaz Cusin, Consorzio a Tavola, Supernova e Brin Mense, che stacca la seconda arrivata, la Innova Spa, già di 28 punti. Terzo è il raggruppamento Compass-Serico, quarta La Cascina. Entrambe le ultime due già svolgono il servizio in alcuni nosocomi.
Niente da dire, insomma, finché non si arriva alla nota dolente: le offerte economiche. La prima classificata ne ha presentata una che è di 1.872.717 euro superiore rispetto alla seconda, cioè, quasi 1 milione e 900mila euro rispetto alla base d’asta. Sì, avete capito bene, oltre il 27% in più rispetto a quanto previsto dalla Asl. E questo, va precisato ancora una volta, per un appalto che ha una durata limitatissima, otto mesi appena, prorogabile di altri otto mesi fino a nuova gara, anche se, si sa, il regime delle proroghe qui sembra essere la regola e non l’eccezione.
Ma le incongruenze sono tante, dicevamo. Così tante da far lievitare i prezzi a dismisura. Perché? Perché nell’assegnazione dei punteggi c’è una sproporzione difficile da giustificare tra costi e qualità: appena 20 per i secondi, 80 per la prima. Tradotto, significa che l’offerta economica non è quasi per niente tenuta in conto. Ma poi, come si calcola la qualità? C’è una macroscopica sproporzione nella sproporzione: sugli 80 complessivi, ben 10 punti vengono assegnati per l’offerta di prodotti provenienti da terreni confiscati alla criminalità, altri 10 per l’offerta prodotti a rischio estinzione, dop, igp, tipici e tradizionali, altrettanti per quelli biologici.
La gara, poi, è così limitata nel tempo da non chiedere all’aggiudicataria neppure la ristrutturazione dei locali delle cucine, come servirebbe al “Vito Fazzi”.
Un pasticcio, insomma, che pure all’inizio ha superato il vaglio di legittimità del nucleo di verifica dell’Ares, l’Agenzia regionale. Come sia possibile resta tuttora un mistero. Ma a guardare bene c’è un altro, pesantissimo, paradosso: per un appalto di ben 13 milioni e 400mila euro non esiste alcun bando pubblico relativo al servizio mensa. La gara è stata fatta mediante procedura negoziata, cioè non c’è stato nessun avviso pubblicato su Gazzetta Ufficiale e stampa, ma una trattativa privata, un invito rivolto a un numero limitato di aziende, quattro quelle che hanno partecipato. Ma c’erano le condizioni di estrema urgenza e di eccezionalità per ricorrere a questa procedura? Difficile scorgerle, tant’è che il 28 marzo 2011 l’Ares riscrive alla Asl, dopo i dubbi sollevati da un sindacato, la Ugl. E in quella lettera si fa riferimento anche a questo: le motivazioni addotte dall’Azienda Sanitaria non convincono.
Peccato che ad ottobre si stia ancora pensando se la gara vada annullata oppure no.
Tiziana Colluto
Mellone: “Si ripartirà da zero, con un nuovo bando pubblico”
Non si sa se sia più grave: la procedura negoziata che somiglia più ad una trattativa privata, il surplus di 2 milioni di euro da versare in più su base d’asta al consorzio che si è aggiudicato l’appalto. Oppure il fatto che i dirigenti Asl dell’epoca, abbiano permesso tutto questo senza fare una piega. Quello che è successo nell’ambito del bando per l’aggiudicazione del servizio mense della Asl di Lecce, sembra davvero un mistero.
Adesso la questione è passata nelle mani del nuovo direttore generale della Asl di Lecce, Valdo Mellone (nella foto), che si è anche beccato il provolone di “Striscia la Notizia”, e aggiunge un tassello in più al grande puzzle degli scandali della sanità pugliese.
Direttore Mellone, la “patata bollente” degli appalti per le mense della Asl leccese è passata a lei. Cosa ha intenzione di fare?
Mercoledì mattina ho inviato alle ditte che hanno partecipato alla procedura, l’avviso di avvio per revocare o annullare il tutto. Da quel momento le ditte avranno dieci giorni di tempo, per presentare le loro osservazioni. Tra le varie motivazioni presentate ci sono, oltre alla specifica sproporzione qualità/prezzo e ai dettagli sulle clausole che riguardano la provenienza dei prodotti, anche l’assenza delle condizioni d’urgenza per avviare la procedura negoziata, secondo la valutazione regionale, e la non convenienza dell’assenza di divieto al rialzo presente nel bando.
Le incongruenze nell’iter seguito dalla Asl di Lecce sono tante. Come si possono spiegare?
All’epoca non ero direttore, lavoravo molto lontano da Lecce, posso solo supporre che tale strada sia stata seguita per accelerare i tempi. Il metodo scelto per affidare il servizio rivolto a un numero limitato di aziende, resta una scelta singolare. Sarebbe stato più conveniente un bando pubblico, che è quello che faremo, specie alla luce di un importo così elevato e anche del parere negativo espresso dal Servizio ispettivo regionale, secondo cui non c’erano le condizioni per ricorrere alla trattativa privata.
Che idea si è fatta?
Sul motivo di tale scelta non riesco a dare spiegazioni precise. Tra le incongruenze vi sono anche quelle riguardanti il disciplinare di gara, nel quale si chiarisce, tra le altre cose, che 10 punti vengono assegnati per l’offerta di prodotti provenienti da terre confiscate alla criminalità, 10 per alimenti biologici, altri 10 per prodotti tipici, da fornire ai degenti in almeno un pasto al mese.
Dall’Ugl, il sindacato che si sta occupando del caso, parlano di “bluff amministrativo per non andare a gara”. Perché secondo lei è stata scelta questa procedura?
La procedura negoziata è pur sempre una gara, l’unica differenza sta nella rapidità. In effetti, il Tar aveva annullato la gara precedente, lasciando scoperte alcune strutture, si era necessaria dunque, una fornitura di transizione per 8 mesi prorogabili, ma secondo le valutazioni regionali richieste in seguito quelle condizioni d’emergenza non sussistevano più.
I dubbi più forti nascono da quei 2 milioni in più, da pagare al consorzio che si è aggiudicato l’appalto in un momento davvero critico per le tasche della sanità pugliese. Lei cosa pensa in merito?
Dal momento che la procedura non si è mai conclusa, posso dire che il rischio è stato scongiurato. Il problema non è solo ed esclusivamente della sanità pugliese, si tratta di un problema assoluto. Avrei comunque revocato quel bando.
Si ricomincerà tutto da zero?
Assolutamente sì, procederemo con una procedura aperta e dunque con gara pubblica. Nel frattempo prorogheremo le ditte in servizio e sono certo che potremo concludere il tutto senza tempi biblici. Io dal canto mio, farò salti mortali.
Eleonora L. Moscara