La diffusione di alcuni dati relativi ai valori elevati di diossina in alcuni mitili prelevati nel Mar Piccolo di Taranto ha generato una psicosi che ha rischiato di danneggiare il settore dell’allevamento e del commercio di frutti di mare in Puglia. Le analisi però si riferivano non alle cozze nere coltivate sui pali in sospensione, ma a molluschi adagiati sul fondo, dove è proibito raccoglierli
a cura della redazione
Cozze alla diossina? Proprio no. L’allarme generatosi nei giorni corsi ha rischiato di mandare in tilt la gastronomia di un’intera regione colpita al cuore in tutta la sua estensione, dal lungomare di Bari alle grotte di Leuca. Uno dei prodotti tipici delle nostre coste sarebbe contaminato con alte percentuali di diossina secondo l’allarme lanciato dagli ambientalisti. L’allarme riguarderebbe uno dei santuari del mitilo pugliese, cioè il mare tarantino.
Fabio Matacchiera, presidente della “Onlus Fondo Antidiossina Taranto” ha infatti presentato, nei giorni scorsi, proprio nella città jonica i risultati delle analisi effettuate su campioni prelevati due mesi prima, presso il laboratorio Inca (Consorzio Interuniversitario Nazionale di Chimica per l’Ambiente) di Venezia. Si tratta di analisi, finanziate da libere donazioni, che hanno dimostrato il superamento dei valori di legge di alcuni esemplari prelevati dal fondale (cozze pelose, cozze San Giacomo e ostriche del Mar Piccolo). Non sono state, invece, analizzate le cozze nere che vengono coltivate su palo o su galleggianti long-line, e che costituiscono il 90% della mitilicoltura tarantina. Una scelta derivata dal fatto che la diossina non è idrosolubile: può essere assorbita dai mitili se i fondali vengono agitati, essendo organismi filtratori di acque torbide capaci di trattenere il particolato in sospensione nell’acqua. Matacchiera ha concluso spiegando che “la pericolosità delle diossine è così elevata da essere misurata in picogrammi piuttosto che in nanogrammi. Nelle cozze di fondale e nelle ostriche del Mar Piccolo, i livelli di diossina sono elevati del 70% circa, ben oltre i limiti di legge”.
Una notizia che ha davvero scosso il mondo della mitilicoltura pugliese, gettando nello sconforto intere famiglie per la ricaduta negativa sul commercio e sulle abitudini dei consumatori a rischio psicosi. Così, per ridare serenità ad un settore già provato, è scesa in campo Confcommercio jonica svelando l’arcano: “Le cozze di Taranto sono sane e non c’è rischio di contaminazione per gli altri frutti di mare commercializzati nel capoluogo jonico: si tratta di informazioni inesatte che hanno contribuito a gettare discredito sul prodotto. Prodotto che, come hanno anche confermato gli stessi ambientalisti e i dirigenti degli organi di controllo di Asl ed Arpa, viene allevato con modalità (in sospensione su pali a vari metri di distanza dal fondo) che lo mettono al riparo dal rischio di contaminazione, al quale sono invece soggetti quei frutti di mare che crescono sui fondali, ma che è proibito raccogliere”.
Non meno severo il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano di fronte alle notizie allarmistiche pubblicate dopo gli esami dell’Inca, tanto da voler fugare ogni dubbio sulla genuinità dei frutti di mare tarantini assaggiando uno dei mitili appena pescati. “È stata fatta una fotografia sbagliata -ha detto Stefàno- È nella storia di Taranto che ci siano delle aree interdette, persino alla balneazione, e dove non si può pescare. In quelle zone non ci sono allevamenti di cozze. Ci sono però delle zone accuratamente controllate nella quali sono stati fatti più di un migliaio di accertamenti. Quindi possiamo dire senza ombra di dubbio che i mitili si possono mangiare e sono buoni”. Non si escludono a questo punto richieste di risarcimento.