Questo è il drammatico sfogo di Luigi Lefons, padre di Alessandro, il giovane imprenditore di Lizzanello che venerdì scorso si è tolto la vita perché esasperato dall’ansia e l’angoscia derivanti dalle difficoltà per il suo lavoro. È la 27esima vittima in Italia (la sesta in Puglia) dall’inizio dell’anno, di un crisi economica sempre più devastante contro la quale il nostro sistema politico ed economico non riesce a fornire soluzioni adeguate
In poche ore la notizia fa il giro d’Italia. Un altro imprenditore che si toglie la vita, sconfitto dalla paura per una crisi economica che è tra le più dolorose dal dopoguerra ad oggi. Lo scenario è Lizzanello, in pieno Salento, una terra da tanto, troppo tempo abituata a convivere con il dramma del lavoro. È il sesto caso di suicidio di un imprenditore pugliese dall’inizio dell’anno. Il 27esimo in Italia. La vittima è Alessandro Lefons, 31 anni, socio e amministratore della Imoter Srl. L’altro socio dell’azienda, Diego Zilli, da qualche anno era tornato a Brescia, città in cui Alessandro ha vissuto per tre anni prima di provare l’avventura imprenditoriale nel suo Salento. Il settore è quello dei lavori stradali.
Lo scorso venerdì il giovane imprenditore si è tolto la vita con un colpo di pistola alla tempia. Nelle ore successive si sono andate sempre più delineando le cause che hanno portato al drammatico gesto: azienda in liquidazione, cospicui crediti non incassati, lavoro che scarseggia. Nonostante la vicinanza e l’affetto ininterrotto dei genitori, del fratello e della compagna Roberta, con cui il giorno della tragedia Alessandro aveva scambiato alcuni sms, l’ansia e l’angoscia per un futuro sempre più incerto l’hanno avuta vinta su di lui. Il suo corpo è stato ritrovato nel bosco Santa Lucia, a Cavallino.
In paese Alessandro viene descritto come un ragazzo solare. Ma una frase contenuta nel biglietto lasciato nella sua Ford Fiesta prima di andarsene dice ben altro: “Non riesco ad avere speranza per un futuro migliore”.
PARLA IL PADRE
“Alessandro amava il suo lavoro. Lo hanno portato all’esasperazione”
Belpaese ha intervistato Luigi Lefons, padre di Alessandro, che non ha usato mezze parole per spiegare le ragioni del suo folle gesto: “La mano che ha agito era la sua, ma qualcuno gliel’ha fatta muovere”
Lizzanello, circa 11mila abitanti a 7 chilometri da Lecce, non immaginava di vivere così da vicino le conseguenze di una recessione economica che ha radici lontane. E che ora è arrivata prepotentemente anche nel Salento, portandosi via la giovane vita di un piccolo imprenditore munito di sogni e idee. Il padre di Alessandro, Luigi, non usa mezze parole nel descrivere il dramma di un figlio che non c’è più. Ma, pur nel dolore, Luigi analizza la situazione con amara lucidità.
Signor Lefons, chi era Alessandro?
Era una persona corretta, responsabile e rispettosa delle leggi. Lavorava moltissimo ed era orgoglioso del suo lavoro. A volte capitava, a causa di pioggia e clima avverso, di interrompere le attività, ma lui ci teneva a recuperare a tutti i costi le giornate in cui si rimaneva bloccati.
Perché si è ucciso?
La mano che ha agito era la sua, ma qualcuno gliel’ha fatta muovere. Una burocrazia oppressiva, uno Stato assente, le banche che non lo hanno sostenuto adeguatamente nei momenti di difficoltà del suo lavoro.
Chi sono oggi a mettere i bastoni tra le ruote ai sogni di un giovane imprenditore?
La burocrazia degli enti pubblici impedisce letteralmente di lavorare. Si parla sempre di semplificazione ma lo Stato, attraverso questi soggetti, ha di fatto complicato la vita a chi vuole fare impresa. E poi le banche.
Difficoltà quindi anche nell’accesso al credito?
Certo. Le idee dei giovani vanno sostenute e incoraggiate, altrimenti non possono crearsi un futuro. Mio figlio ha affrontato spesso difficoltà nei rapporti con gli istituto di credito, non tanto nella fase di avvio della sua attività quanto nella fase successiva di mantenimento dell’azienda stessa. Lavorando nel settore edile e avendo tra i propri clienti diversi enti pubblici, si trovava spesso nella condizione di ricevere in ritardo i pagamenti per i lavori effettuati. Allora la mancanza di liquidità e al tempo stesso il mancato intervento da parte delle banche che raramente concedono crediti in questi casi, ha determinato spesso difficoltà nel poter solo affrontare le spese di mantenimento dei mezzi di lavoro, del personale e dei fornitori, tutte spese molto alte. Poi mio figlio non ha mai voluto chiedere nulla allo Stato, nessun contributo, nessuna agevolazione. Ha ricevuto solo piccoli aiuti dalla sua famiglia, attraverso sacrifici miei e di mia moglie.
La classe politica è corresponsabile di questi drammi?
Sì. Oggi la classe politica italiana vessa i più deboli e non crea i presupposti che possono consentire a chi vuole lavorare onestamente, nella propria terra, di farlo con gioia e serenità pensando che esiste intorno a sé un sistema di leggi chi ti sostiene e ti consente di investire su te stesso, invece che rallentarti e crearti problemi. Ancora di più questo è importante nei momenti di crisi economica devastante come quello che stiamo attraversando. Mio figlio mi confidava spesso la sua sfiducia verso il sistema politico, che oltre alle promesse elettorali (puntualmente poco o per niente mantenute) non è in grado di aiutare i giovani lavoratori e imprenditori come lui.
Lei fa spesso riferimento al tema della legalità.
Come le dicevo, Alessandro viveva nel rispetto di leggi e regole. Mi diceva sempre: “Mi fanno sentire un ladro! Se pensane ca issimu cu lu camion cu scia’ rubbamu!”. Ma come si fa? Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, tutti a controllare persone che vanno a lavorare! Non sono mancate le visite degli ispettori del lavoro. Nessun verbale. Tutto rigorosamente in ordine. Mio figlio pagava tutto quello che c’era da pagare. I mezzi che utilizzava in cantiere erano in perfetta regola. La sua azienda, sin dalle prime indagini, è sana. E poi viene preso per un ladro proprio da quello Stato che dovrebbe garantirti e proteggerti!
Cosa dovrebbe imparare chi ci governa da queste vicende?
Mio figlio è stato ucciso dalle preoccupazioni. Non si può portare all’esasperazione un giovane che vuole essere imprenditore di sé stesso!
La sua famiglia non viene dal mondo dell’impresa. Come si è avvicinato Alessandro all’edilizia e ai lavori stradali?
Amava lavorare in proprio. È partito 7-8 anni fa con una piccola realtà. Aveva tanto entusiasmo, anche se ammetto che all’inizio io e mia moglie eravamo contrari. Era un leone. In azienda copriva ogni ruolo. Ha vissuto tre anni a Brescia, è lì che ha acquisito competenze per poi tornare e metterle in pratica nella sua terra. Reinvestiva quello che guadagnava. Come le dicevo, eravamo contrari a questa scelta, ma lo abbiamo sempre sostenuto.
Cosa consiglia ai giovani che scelgono ancora di fare impresa?
Bisogna battersi sempre. Nel rispetto delle regole, certamente: ma che siano regole chiare e accessibili. E questo compito spetta allo Stato.
Stefano Manca