A fine anno scadrà lo stato di emergenza per i migranti del nord Africa arrivati in Puglia lo scorso anno e accolti in diverse strutture salentine. La loro situazione di stand by genera non pochi rischi
Sono quasi 1.400. 1.400 persone che a fine anno rischiano di essere completamente lasciate allo sbaraglio. 1.400 migranti arrivati qui, in Puglia, nel pieno della Primavera araba e delle crisi che, dalla Tunisia alla Libia all’Egitto, hanno travolto tutto l’arco meridionale del Mediterraneo. Il 31 dicembre, infatti, scade lo stato di emergenza, proclamato il 12 aprile dello scorso anno dall’Italia.
Sono passati 14 mesi e la situazione è, spesso, fin troppo complessa. Ci sono, soprattutto, “i tempi burocratici, per cui a un anno di distanza vi sono richiedenti che non hanno ancora sostenuto l’audizione per il riconoscimento dell’asilo politico. L’attesa rappresenta uno dei fattori di maggiore criticità per i migranti che di fatto vivono in una situazione di stand by”. A centrare il cuore della questione è Klodiana Cuka, presidente di Integra Onlus, associazione riconosciuta come Ente di Tutela e operante in quasi tutte le strutture che ospitano i migranti. Ma ci sono anche coloro che, pur avendo ottenuto asilo politico, ora devono iniziare a camminare con le proprie gambe. E non ne hanno i mezzi. Non sono stati forniti.
Eppure, la Convenzione stilata a fine 2011 dal Soggetto Attuatore della Regione Puglia mette tutto nero su bianco. Tra gli obiettivi non obbligatori, ma comunque “essenziali”, da garantire agli immigrati, “centrale, nei processi di integrazione, è l’importanza dell’apprendimento dell’italiano come seconda lingua. Sulla base del differente grado di istruzione devono essere garantiti diversi corsi di insegnamento della lingua (alfabetizzazione, italiano di base, avanzato, gergo settore lavorativo) ed essere strutturati in modo tale da garantire l’adeguatezza degli obiettivi prefissati”.
Non solo, è “conveniente offrire maggiore spazio all’ascolto e al sostegno psicologico dei migranti; è utile, all’interno di una rete con enti locali, scuole, aziende, associazioni, la predisposizione di corsi di formazione professionale; è adeguata la proposta di attività ludiche, creative ed espressive rivolte a stimolare la comunicazione, la partecipazione, l’autonomia; è valida l’azione di orientamento e accompagnamento ai servizi del territorio e alla comunità locale; doverosa la predisposizione di servizi mirati per l’accoglienza delle persone vulnerabili”, come la mediazione linguistica/culturale, la conoscenza dei propri diritti, l’organizzazione del tempo libero. Tutti servizi che “dovranno essere assicurati da Enti di Tutela qualificati, operanti sul territorio regionale, individuati nell’ambito di specifico decreto adottato dal soggetto attuatore sulla base delle puntuali indicazioni fornite dalla Regione”.
È così? No. Non ovunque è così. Di fatto, l’accoglienza in Puglia è a macchia di leopardo, tant’è che alcune strutture d’accoglienza non hanno neppure sottoscritto il protocollo d’intesa con gli Enti di Tutela, continuando a portare avanti forme di mero assistenzialismo. Trasformandosi in parcheggi e non in incubatori di nuovi cittadini.
Tiziana Colluto