Il Salento diventa il luogo della resistenza alle multinazionali del grano, con 11 aziende che si sono impegnate a difendere la biodiversità e recuperare le antiche varietà di grano
Baluardo di biodiversità, sono undici le realtà leccesi che hanno fatto del ritorno alla cerealicoltura autoctona la propria bandiera: non solo produzione e vendita, ma l’assunzione di un impegno comune nel recupero della biodiversità locale, nello studio di nuove strade sostenibili e nella chiusura del ciclo produttivo dei cereali. Lo scorso 30 agosto, in occasione della vigilia della Notte Verde, a Castiglione d’Otranto è stata presentata ufficialmente la nascita di una rete che, da un lato, serve a reintrodurre cereali autoctoni e dall’altro tenta di strappare fette di mercato locale alle multinazionali, vendendo la propria farina, facendo nascere appositi gruppi di acquisto e chiudendo la filiera attraverso la creazione di forni sociali e mulini di comunità, come quello che è sorto sempre a Castiglione d’Otranto. I custodi sono undici realtà sparse in tutti gli angoli del Salento: Casa delle Agriculture Tullia e Gino (Castiglione d’Otranto), Karadrà (Aradeo), Mulino Maggio (Poggiardo), Casina dei Mori (Nardò), PresentèFuturo (Spongano), Associazione Marina Serra (Tricase), le aziende agricole Merico (Miggiano) e Melusina (San Donaci), gli agriturismo Piccapane (Cutrofiano), Fontanelle (Otranto) e Salos (Otranto).
A censirle è la Rete Salentokm0. “Tra le varietà recuperate -spiega la coordinatrice Francesca Casaluci- quella più apprezzata resta il grano duro Senatore Cappelli, che molte famiglie, piccoli agricoltori e aziende che vogliono diversificare la produzione sono tornare a coltivare. Ci sono, però, molte altre varietà dimenticate interessanti, reintrodotte nel Salento in maniera più puntiforme: Russarda, San Pasquale, Marzuolo, Maiorca, Saragolla, Gentil Rosso, Carosella, farro, orzo. Passo avanti fondamentale è stata la sperimentazione del ‘miscuglio di semi’, sulla scorta dell’insegnamento del genetista Salvatore Ceccarelli, che proprio grazie alla Notte Verde la Puglia ha potuto conoscere. In ogni caso, recuperare antiche varietà serve a poco se la produzione non è sostenibile, abbandonando l’uso della chimica”.