Cerca

Il Salento: dagli occhi di Carla Guido a quelli di Ozpetek

L’attrice Carla Guido racconta la sua esperienza di coach nel film “Mine vaganti”, in cui ha affiancato, tra gli altri, Lunetta Savino, Ennio Fantastichini e Riccardo Scamarcio.
 
Il Salento torna a essere scenario di un film. Ma non il solito film in cui vediamo attori doppiati in barese e non esiste uno studio specifico sulle caratteristiche ambientali da attribuire al personaggio. In “Mine vaganti” pellicola di Ferzan Ozpetek, esiste una particolare cura per quella che è la “lingua” salentina e la salentinità in genere. Merito dell’attrice Carla Guido, che ha svolto il ruolo di coach nella produzione, che un’altra volta ancora punta i riflettori sulla nostra terra. 
La Guido ha infatti lavorato spalla a spalla con Ozpetek, restando assente solo per due ciak, che non richiedevano la sua presenza. “Ho cercato di tradurre le intenzioni emotive dei personaggi -racconta la coach- così come voleva il regista. Abbiamo cercato di contestualizzare la provenienza leccese dei personaggi”. E per farlo non ci si è serviti del dialetto, Guido parla appunto di una “lingua” salentina, che è caratterizzata nella maggior parte da intercalari, perché sono quelli che incarnano la funzione diatopica dell’italiano regionale. Il lavoro maggiore è stato con Lunetta Savino, Alessandro Preziosi ed Ennio Fantastichini, dato che questi attori interpretavano personaggi che avevano sempre vissuto in loco. Diverso il discorso per Tommaso, il personaggio portato sul grande schermo da Riccardo Scamarcio (che peraltro è tornato nel Salento dopo “Il grande sogno” di Michele Placido), che essendo un ex studente universitario fuori sede a Roma, parla una lingua contaminata.
“Non abbiamo utilizzato mai la zeta dolce -prosegue la Guido- perché abbiamo notato che negli ultimi anni il salentino sta subendo un’evoluzione nel rafforzamento della zeta”. Per cui, se la storia fosse stata ambientata a Lecce, ma venti o trenta anni fa, la zeta dolce sarebbe stata più che adeguata, ora pare anacronistica e fuori luogo.
“Ozpetek -chiosa l’attrice salentina- porta dolcemente l’attore all’immedesimazione. È un modio straordinario di lavorare il suo. Noi coach lavoriamo in cuffia, per cui stiamo bene attenti a tutte le sfumature del suono, affinché questo giunga alla piena intenzione voluta dal regista. La lingua ha un sapore, un percorso interiore che da solo riesce a dare l’impronta del personaggio”. E la Guido lo sa bene, tanto che, pur avendo studiato dizione, cerca di non perdere, al di fuori del lavoro, a volte quell’intercalare che la caratterizza nella propria salentinità.
Vedremo anche moltissimo Salento: una delle caratteristiche più immediate sarà quella della spettacolare luminosità della nostra terra, il sole, tanto proverbiale nel trinomio sule, mare jentu, si spoglia delle valenze che un determinato cliché finisce per assumere e diventa parola, immagine assoluta, definitiva, indimenticabile. “Il grande merito di Ozpetek -conclude la Guido- è stato far parlare le pietre, mettere in risalto la pietra leccese, mettendola in comunicazione con la luce. Non so se parlare di luci di pietra o pietre di luci, quel che è certo è che questo regista ama la verità e riesce a tirare fuori l’anima e una sorta di magia dai luoghi in cui gira. Un film dall’accento corale questo, che credo costituisca un ottimo biglietto da visita per Lecce e il Salento in genere”. Molti tentativi sono stati fatti, ma in passato i film sono stati girati nel Salento, mostrando i luoghi: per la prima volta la nostra terra è protagonista.
 
Angela Leucci