Belpaese presenta una drammatica testimonianza di un padre di famiglia alle prese con una crisi economica che morde come mai prima
“Raccontare la mia storia mi fa bene, ma per carità non voglio essere riconosciuto. Non ho voglia di essere oggetto di pietà o commiserazione”. Questa in sintesi la premessa con cui Antonio B. apre la sua drammatica testimonianza. È una storia dei nostri giorni. Una storia simbolo il cui protagonista potrebbe tranquillamente essere preso e portato tra le pagine dei drammoni ottocenteschi.
Ha 36 anni, Antonio B., un ragazzo secondo l’immagine di una cultura all’insegna dell’ “eterno Peter Pan”, ma lui di gingillare non ha tempo né voglia. Due figlie e una moglie da mantenere, un lavoro che non c’è più, la morte della madre prima e la malattia del padre poi, hanno spento in lui la voglia e la speranza. Alzarsi al mattino? E per far cosa? Questo si domanda quando sente la moglie che con la mano cerca la sveglia per spegnere la suoneria. Questo si domanda quando la sente chiamare le bambine e uscire per portarle a scuola. Antonio aveva un lavoro, un buon lavoro, in una fabbrica su al Nord. Operaio specializzato, qualifica che ti mette al riparo dai licenziamenti bruschi, ma questa volta non c’è stato niente da fare e la lettera è arrivata anche a lui.
Da allora sono passati appena quattro lunghissimi mesi e Antonio non ha speranze. In quella che ora chiama “dannata fabbrica” ci lavorava da due anni e a breve tutta la famiglia si sarebbe trasferita a Brescia, ma quel giorno non è mai arrivato. Ha dovuto fare lui armi e bagagli per tornare al paese natio dove deve pagare la rata di mutuo di quella villetta a schiera che non avevano intenzione di vendere neppure in caso di trasferimento e che ora vivono nel terrore di vedersela vendere in una qualche asta giudiziaria. Un pensiero che lo angoscia e lo tormenta perché “noi siamo gente onesta, precisa -continua accorato- non abbiamo mai fatto il passo più lungo della gamba. Abbiamo comprato una casa per non buttare i soldi con l’affitto e ora rischiamo di vedercela portare via perché non posso continuare a pagare se non trovo un lavoro. I soldi che abbiamo servono per la sopravvivenza”.
Come spiegare a due bambine di sette e dieci anni che il papà non è un fannullone, ma un povero cristo che nessuno vuole assumere? Non perché non sappia fare il suo lavoro, ma perché non ci sono possibilità di occupazione in questo momento. La piccola riserva in banca si assottiglia ogni giorno di più, i pochi risparmi rimpolpati dalla liquidazione e dall’assegno di disoccupazione non ti fanno quadrare il bilancio, tutti ti danno pacche sulle spalle, ma il problema rimane. Che fare? Ripartire, riprendere la valigia e andare al Nord cercando un lavoro, uno qualsiasi, dimenticando che hai studiato, che un diploma di perito te lo sei preso per garantirti un futuro migliore. Lo sa, Antonio B. sa che questa è l’unica prospettiva concreta, lo legge negli occhi delle bambine confuse dalla tensione che si respira in casa, lo sente nell’abbraccio tremante della moglie che scelse di lasciare il lavoro per dedicarsi alla casa e alle bambine. “Parlano di sicurezza, ci riempiono la testa di misure per contenere la criminalità e non pensano -afferma esasperato- che la prima regola per non costringere la gente a fare cose che non vorrebbe fare o che non avrebbe mai fatto è dargli la possibilità di una vita dignitosa”.
Maddalena Mongiò