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Un carcere da “repubblica delle banane”

Dall’Aduc di Lecce parte un appello a migliorare la condizione dei detenuti nelle strutture penitenziarie del nostro territorio
 
Una pentola a pressione sull’orlo di esplodere. È probabilmente l’immagine più semplice e più efficace per descrivere la situazione delle carceri italiane, e pugliesi in particolare. L’esubero di più del doppio dei detenuti per ogni plesso carcerario rende insopprimibile la questione umana vissuta dai reclusi, in queste condizioni privati oltre che della libertà, anche di ogni minimo diritto civile. Ora sembra finalmente che anche il resto della società vada prendendo coscienza che lo “sporco sotto al tappeto” rappresenta un problema per tutti, del quale non si può far finta di niente. 
Così l’ultimo allarme lanciato riguardo uno dei carceri più in sofferenza della Puglia, ovvero quello di Borgo San Nicola a Lecce (nella foto), non viene da qualche sindacato di Polizia Penitenziaria (finora i più attivi e anche praticamente gli unici a denunciare la problematica), ma da un’associazione in difesa dei diritti dei consumatori, l’Aduc, che ha ricordato in una nota del delegato di Lecce, il dottor Alessandro Gallucci, i dati più allarmanti che giungono dalle carceri italiane: “Le notizie che arrivano dai vari penitenziari sparsi nel Paese assomigliano sempre di più ad un bollettino di guerra. I dati sui suicidi sono allarmanti. Dagli anni ‘60 ad oggi il numero è aumentato del 60%: 29 casi nel solo 2010 (e nel solo carcere di Borgo San Nicola si rilevano due casi nell’ultimo mese). I dati sulle violenze sessuali agghiaccianti: circa 3mila stupri ogni anno. Si tratta dei soli casi noti, la vergogna, l’omertà e l’inefficienza della sanità penitenziaria fanno il resto”. 
Gallucci usa toni forti e, valutando la situazione delle carceri come “termometro di civiltà di un Paese”, dà ragione a chi definisce l’Italia come “Repubblica delle banane”. Il delegato Aduc ricorda nella nota i principi dell’articolo 27 della Costituzione, mettendo in luce il paradosso che si crea con lo stato di fatto della realtà carceraria e come invece “i principi costituzionali di rieducazione e ripudio di trattamenti disumani sono considerati inutili suppellettili, ai più sconosciute o considerate inutili”. Una lettera di denuncia, l’ennesimo appello, per smuovere le acque e soprattutto dare voce a chi non ne ha più.
 
Giorgio De Matteis