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Sos del Rettore: “Servono soldi per continuare a offrire ricerca e istruzione superiore”

L’allarme è lanciato. L’università del Salento rischia di non poter funzionare come dovrebbe per mancanza di fondi. I tagli del ministero della pubblica istruzione e le tasse, che gli studenti cercano in ogni modo di eludere, hanno portato il bilancio dell’università sull’orlo del baratro.
 
Sino al 2007 era l’Università degli studi di Lecce, poi ribattezzata Università del Salento. Dieci facoltà sparse tra il capoluogo di provincia, Monteroni, Mesagne e Brindisi. Per numero di studenti iscritti è il secondo ateneo della Puglia dopo Bari. Non è una delle università più antiche, ma è già una “signora” di una certa età. Risale al 1955 l’istituzione di un consorzio universitario per impulso dell’amministrazione provinciale che raccolse l’adesione di tutti i comuni ricadenti nell’ambito territoriale. L’attività didattica venne avviata con la scuola speciale in Vigilanza scolastica e la facoltà di Magistero con i corsi di laurea in Materie letterarie, Lingue e letterature straniere, Pedagogia. Bisognò aspettare altri due anni per la facoltà di Lettere e Filosofia e altri due per il riconoscimento legale. Nel ‘68 fu istituita la facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali oggi, con la facoltà di ingegneria, fiore all’occhiello dell’Università del Salento. L’offerta formativa è vasta, oltre alle già citate, sono state istituite le facoltà di: Economia, Beni culturali, Giurisprudenza, scienze sociali, politiche e del territorio, Ingegneria industriale. 
Lecce e le altre città che ospitano sedi distaccate hanno tratto grandi vantaggi dalla presenza dell’università. Sicuramente ha contribuito a vivacizzare il dibattito culturale, ad accendere i riflettori su un territorio che con grande caparbietà ha cercato di uscire dalla zona d’ombra in cui normalmente è relegato il Sud, ha generato una domanda abitativa che è stata volano per l’attività edilizia. Questo equilibrio, che pareva essere un dato di fatto, scricchiola sotto la mannaia dei tagli applicati dal ministero della pubblica istruzione e non solo. Diminuiscono i fondi che il Governo eroga e aumenta l’evasione delle tasse universitarie: un gatto che si morde la coda. 
Le soluzioni non sono molte: o si agisce sulla spesa o si aumentano le tasse. Il Rettore ha già dichiarato che gli stipendi e le spese di gestione non possono essere toccati e men che meno intende metter mano alle risorse destinate alla ricerca. È una posizione assolutamente condivisibile se non si vuole trasformare l’Università in un contenitore che offre unicamente didattica e conseguentemente spinge alla fuga i migliori cervelli. L’aumento delle tasse secondo il Rettore non risolverebbe il problema perché il fabbisogno è tale da non poter essere coperto con questo tipo di entrata. In questo scenario l’unica soluzione da adottare sarebbe quella di batter cassa anche alle istituzioni locali. Confidare in un aumento dei fondi pubblici: una vecchia ricetta. Quando si penserà che per risanare i conti e reperire i fondi è doveroso moralizzare tutti gli studenti sulla necessità di pagare le tasse? Questa voce di entrata non coprirà tutto il fabbisogno, ma potrà far la sua parte. E non solo. La facoltà di Ingegneria, grazie alle sue ricerche, è una vera miniera di scoperte, ma cedere i brevetti non lascia grandi risorse. Più volte si è sottolineata la necessità di accordi con le aziende acquirenti per non limitare ad una semplice compravendita i brevetti dell’Università, ma come spesso accade sino ad oggi sono rimasti solo enunciati di buone intenzioni. Nel 2009 è stato approvato lo statuto dell’Università, al punto 1 si ribadisce che ha come compito primario l’istruzione e la ricerca scientifica e tecnologica. Nobile scopo che cozza con una quotidianità in cui il denaro è tiranno e si tende alla promozione facile per mantenere i parametri imposti dal ministero. 
Maddalena Mongiò