La creazione di una Regione costituita dall’unione delle province di Lecce, Brindisi e Taranto, sul territorio di quella che era l’antica Terra d’Otranto, è un progetto che ha radici antiche e spesso se ne torna a discutere, come adesso. Il mondo politico ed imprenditoriale salentino appare oggi diviso tra “ansia” di federalismo e dubbi circa gli effettivi vantaggi di una simile iniziativa
Il taglio delle mini-province presentato nella bozza della manovra economica, provvedimento poi ritirato dal Governo, ha riportato in auge un dibattito secolare riguardante l’identità delle comunità. Parlare di Padania piuttosto che di Salento ha significato se si trascende dal ragionamento puramente geografico affrontando la questione dal punto di vista delle affinità culturali, storiche e ovviamente ed economiche delle popolazioni.
Quando nel 1946 si stabilì la divisione dell’Italia in apparati regionali, non si tenne conto soltanto dei limiti geografici, ma si cercò soprattutto di dare conto di realtà grosso modo omogenee. Grosso modo, perché a distanza di quarant’anni dall’effettiva entrata in vigore della ripartizione regionale avviata nel 1970, esistono territori che risentono dell’obsolescenza dell’impianto realizzato dai padri costituenti. E il dibattito, che sembra a tratti sopirsi, viene rinfocolato a più riprese dai sostenitori delle nuove regioni che, al contrario dei fautori di ulteriori province, hanno logiche e presupposti ben più solidi. Parliamo dei propugnatori della regione Lunezia (territori di Toscana, Emilia, Lombardia e Liguria), di chi vorrebbe che nascesse la regione Romagna di cui esiste anche un movimento per l’autonomia i cui motivi sono ben descritti in questa sintesi: “Quando nacque la Regione Emilia Romagna, il reddito medio di un romagnolo era l’88% di quello di un bolognese. Dopo 30 anni di governo emiliano-romagnolo il reddito medio di un romagnolo è del 73% di quello di un bolognese. È chiaro quindi chi sia stato favorito dal governo regionale”.
Nel Mezzogiorno d’Italia esistono diversi movimenti che vorrebbero “perequare” territorialmente quanto stabilito anni fa: la Moldaunia, che dovrebbe nascere dalla Puglia e il Molise con il passaggio del territorio Dauno dall’attuale giurisdizione regionale pugliese a quella molisana; il Sannio-Irpinia-Cilento che auspica addirittura la secessione da Napoli delle tre aree della Campania contro le “prepotenze del capoluogo”; la Grande Lucania, un’iniziativa che punta all’aggregazione alla Basilicata delle comunità lucane oggi comprese nella provincia di Salerno; la Regione Mediterranea, a statuto speciale, con Reggio Calabria e Messina unica provincia. Infine, la Regione Salento, costituita dalle provincie di Lecce, Brindisi e Taranto. Quest’ultima in particolare è una entità già abbozzata da Giuseppe Codacci Pisanelli nel 1946 sulla Carta Costituzionale ma che ebbe la ventura di durare meno di un anno: fu Aldo Moro a propendere per l’unità della Puglia con capoluogo Bari, in un’aggregazione che, anche al giorno d’oggi, sembra caratterizzata da una serie di particolarità e abitudini mai amalgamate del tutto e che, forse, è anche la causa delle difficoltà di crescita comune.
Il ritorno del dibattito sulla Regione Salento non è peregrino, ma nasce da un sentire comune che risale a tempi ormai remoti e che è diventato sempre più impellente col passare degli anni, specialmente in un periodo di crisi tangibile come quello presente. La convinzione è che in una dimensione più limitata e omogenea un territorio possa spiccare davvero il volo: puntando su una identità precisa e ben visibile non stemperata in calderone multiculturale che non va oltre la mera rappresentazione geografica, si riesca a godere di un benessere più diffuso. Regione Salento vuole quindi essere un ritorno alle origini, individuando le peculiarità di una terra che a se stante lo è di fatto, isolata dal resto d’Italia per tre quarti, circondata com’è dai due mari, Jonio e Adriatico. Identità di tradizioni, di sapori, di economie per una regione che trova poche consonanze a 200 chilometri da Lecce, dove sembra di essere atterrati su di un altro pianeta.
Mario De Cristofaro è sicuramente il personaggio politico che ha sempre creduto nel sogno di un Salento autonomo e artefice delle proprie scelte: le ultime decisioni a livello nazionale, spostate per pressione della Lega, sull’attuazione di un federalismo poco equanime, non possono che avallare l’idea che De Cristoforo ha sposato anche con campagne politiche clamorose (basti pensare all’appoggio dato ad Antonio Gabellone con la lista Salento Libero Regione). Ad oggi le istanze trovano il loro seguito in un numero sempre crescente di cittadini, ma anche in imprenditori e politici che hanno compreso la necessità di una svolta: Antonio Buccoliero e Paolo Pagliaro sono gli ultimi nomi di una squadra che certamente non tarderà ad ingrossare le proprie fila.