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Nuova vita per il teatro di Lecce

Sono giunti al termine i lavori per il recupero dello storico teatro Apollo, dal 1911 uno degli edifici più rappresentativi di Lecce. Belpaese ha raccolto le testimonianze dei protagonisti di un minuzioso restauro durato diversi anni (nel corso del quale sono emersi dal sottosuolo anche reperti archeologici di epoca romana) e che ha restituito alla città non solo un contenitore culturale ma un vero protagonista della sua memoria storica 

 

Il restauro di un edificio non è mai una vicenda lineare ed anche quello di questo teatro leccese lo è stato. In quello che tecnicamente è l’iter di un intervento finiscono sempre o quasi con l’intrecciarsi una serie di vicende legate alle ricerche storiche, ai rilievi e soprattutto ai finanziamenti; quando poi a questi fattori si aggiungono i rinvenimenti archeologici l’intreccio si infittisce ed i tempi si dilatano. A scanso di equivoci, bisognerebbe ricordare a coloro che di restauro architettonico non si occupano come la complessità di un progetto costituisca un arricchimento, un valore aggiunto. 

A brevissimo sarà inaugurato il teatro Apollo a Lecce dopo una lunga fase di restauro durata circa 8 anni. “I lavori sono iniziati nel 2008 -afferma l’ingegnere Giovanni Dell’Anna, Responsabile Unico del Procedimento (Rup)- con un primo finanziamento pari a 9 milioni di euro. È seguito quindi un secondo di 2 milioni e mezzo di euro destinato al completamento dell’intervento. Il progetto è stato a cura di un raggruppamento temporaneo di professionisti fra cui i progettisti rappresentati dallo studio Nicolangelo Barletti – Luigi Del Grosso (capofila) cui sono da aggiungere Pierluigi Cervellati, Franco Malgrande, Daniele Paolin, Mario Catania ed altri. Tutti professionisti di alto livello. Ricordo solo che Malgrande è lo scenotecnico capo della nuova Scala e che il prof. Paolin è colui che ha lavorato al restauro del teatro veneziano La Fenice. Gli scavi archeologici sono stati il punto più delicato dell’intervento ed infatti -continua Dell’Anna- si è lavorato con estrema attenzione e cautela, con paletta e pennello. L’operazione ha richiesto circa 4 anni. È stata scavata tutta l’area al di sotto del teatro, fondazioni escluse naturalmente e fino allo strato di roccia. Sono state scoperte monete, sepolture romane ed un sarcofago con un bambino così come i resti di un muro relativo alla fortezza che era prima dell’attuale castello Carlo V a ridosso del quale sorge il teatro Apollo. E poi il taglio del fossato dell’odierno castello”. 

I reperti sono stati tutti restaurati e saranno esposti nella parte superiore del foyer. “Tutta l’area sarà visitabile -conclude l’ingegnere-, il finanziamento da 2 milioni e mezzo di euro ha consentito infatti l’elaborazione di un progetto di allestimento. Siamo in attesa del nulla osta da parte della Direzione Generale del MiBACT”. Per quanto riguarda le ipotesi di gestione del teatro sembrano farsi avanti al momento due soluzioni: da una parte la creazione di una fondazione con soggetti locali e non, dall’altra l’inserimento dell’Apollo all’interno di una rete regionale di teatri. 

 

Restauro critico, strutture e tagli: le parole chiave del nuovo Apollo 

 

L’avventurosa storia del teatro Apollo: verrebbe da definire in questo modo la recente storia del restauro architettonica di questo monumento leccese se si avesse la pazienza di ascoltarne il racconto attraverso le parole di Nico Barletti, architetto, e Luigi del Grosso, ingegnere. 

Le parole chiave di questo intervento sono: restauro critico, strutture e tagli. Il restauro critico è fra tutte le voci la più complessa perché è quella che necessita di una conoscenza puntuale della storia dell’edificio in tutti i suoi aspetti ed obbliga il progettista a percorrere come un equilibrista un filo sospeso dove, un passo dopo l’altro, egli si muove fra la dimensione estetica e quella storica del restauro e, meglio ancora, fra la inevitabile necessità di progettare ex novo alcune parti e la fedeltà ad un passato non necessariamente generoso in quanto ai suoi lasciti. 

Afferma l’architetto Barletti: “L’edificio ha avuto un momento critico della sua storia a partire soprattutto dagli anni ’50 circa del secolo scorso. Ciò comportò nel corso di quegli anni interventi che oggi definiremmo non rispettosi di quelle che sono oramai le regole consolidate del buon restauro architettonico. Ridipinture, modifiche più in generale che alla fine ci hanno lasciato un patrimonio formale e spaziale non più ripristinabile se non in alcune sue parti come il cassettonato in cartapesta e i pannelli dei parapetti dei palchi. Il restauro critico -continua l’architetto- è il momento della presa di coscienza; è un giudizio ponderato capace di offrire una lettura dell’opera”. 

Tale posizione metodologica è stata condivisa dalla Soprintendenza di Lecce, è giusto ricordarlo. Un esempio illuminante (è il caso di dire) è quello delle luci “per le quali -continua Barletti- la scelta è caduta sugli elementi componibili in vetro soffiato di Angelo Mangiarotti. Nella grande sala, circa 800 posti, si è seguita la tradizione del grande lampadario centrale interpretando però in chiave moderna tale tema. Altro punto forte dell’intervento è stato l’innalzamento della torre scenica perché il teatro nel suo complesso possa essere conforme agli standard internazionali vigenti ed ospitare così compagnie da tutto il mondo. Per quanto riguarda i tagli essi sono conseguenza di un frazionamento -sottolinea l’architetto- che ha ‘tagliato’ al teatro una parte dei camerini e della stessa torre scenica andati al proprietario dell’edificio addossato alla parte posteriore dell’Apollo. Proprio questo ci ha obbligato a scavare nel sottosuolo per aggiungere i camerini di cui si aveva bisogno”. 

Ultima ma non meno importante questione è stata quella della statica. L’ingegner Del Grosso afferma: “L’edificio aveva molti problemi strutturali come ad esempio le fondazioni, i pilastri interni in cemento armato pericolosamente fessurati, senza contare poi che i sottili solai, sempre dei palchi, erano ancorati solo per pochi centimetri all’interno del muro”. 

 

Il contributo della Soprintendenza 

 

Fondamentale è stata in questo restauro la collaborazione virtuosa fra progettisti e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le provincie di Lecce, Brindisi e Taranto, in particolare l’architetto Augusto Ressa che fin dall’inizio, nel 2008, ha seguito i lavori. “L’operazione di restauro -ricorda Ressa- è stata finalizzata non solo alla tutela dell’edificio ma anche all’aggiunta di qualità in materia di tecnologia, arredi e così via. È stata prestata particolare attenzione al recupero della partitura architettonica esterna fortemente degradata. Altro aspetto interessante -continua Ressa- è quello della copertura un tempo apribile per ragioni legate al ricambio dell’aria, tanto più che in questo tipo di locali un tempo era consentito fumare. La copertura adesso è fissa ed il controllo ambientale interno avviene con tecnologie più moderne ed efficaci. La difficoltà dell’intervento -conclude l’architetto- era di recuperare un’immagine complessiva unitaria perché molti elementi decorativi erano illeggibili ed in alcuni casi, come per le porte esterne, nulla di esse era recuperabile”. 

A proposito delle parti decorative il restauratore Mario Catania afferma: “Sono stati eseguiti saggi stratigrafici per individuare le eventuali superfici decorate preesistenti, ora completamente svelate, operazioni di disinfestazione e disinfezione, rimozione di ridipinture posticce, consolidamento di superfice e di profondità, restituzione delle partiture originali plastiche e pittoriche”. 

 

Fabio Antonio Grasso