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L’olio dei miracoli

Nonostante il nuovo piano Silletti preveda l’eradicazione di oltre 3mila ulivi in Puglia colpiti da Xylella fastidiosa proprio nel periodo della raccolta delle olive, i risultati incoraggianti ottenuti dall’Università del Salento e dal comitato “La Voce dell’Ulivo” fanno sperare nella possibilità di poter disporre in futuro di una cura contro il “male oscuro”. Intanto, complice anche l’Unione Europea, è a rischio il comparto vivaistico viticolo di Otranto e la produzione di verdure della famiglia delle Brassicaceae 

 

Con l’arrivo dell’autunno e del periodo della raccolta delle olive la questione Xylella fastidiosa è puntualmente balzata di nuovo agli onori della cronaca: mille altri ulivi, tutti compresi nella zona tra Trepuzzi e Torchiarolo, sono risultati positivi al contagio e il piano Silletti potrebbe presto entrare in azione. Nuove notifiche in arrivo ai proprietari, con indennizzi, per chi volontariamente si presta a tagliare gli alberi risultati infetti, che oscillano tra i 140 e i 200 euro. Ma il virus potrebbe diffondersi anche ad altre specie: le barbatelle per l’impianto di vigneti, ad esempio, sono ancora bloccate per volontà dell’Unione Europea, con i vivai che adesso rischiano di veder finire sotto embargo anche le “brassicaceae”, vale a dire tutte quelle piante tipo verza, cavolfiori, broccoli, spuntature e rape.

In tutto questo bailamme di notizie nefaste, tuttavia, qualche piccolo spiraglio di luce sembra aprirsi. Da una parte la ricerca scientifica, dall’altra le buone pratiche agricole sembrano segnare punti a favore della lotta “alternativa” alla Xylella. Metodi diversi per un unico scopo: salvare migliaia di piante di ulivi dal rischio eradicazione. È notizia di questi giorni, infatti, quella legata ai progressi registrati nei laboratori dell’Università del Salento, sotto la guida del docente di Chimica, Giuseppe Ciccarella, con delle nanoparticelle inoculate all’interno di “piante-cavie” infettate con il batterio della Xylella che sarebbero in grado di intercettare il virus e di agire su di esso tramite nanovettori. 

Di pari passo, anche gli esperimenti legati alle buone pratiche agricole sembrano accendere qualche barlume di speranza. Uno degli innesti, usando gemme di leccino, praticati sul cosiddetto “gigante di Alliste” nel mese di giugno scorso ha fatto nascere un germoglio, ormai alto più di venti centimetri.  Un tentativo, si badi bene, con cui si sta cercando di contrastare il fenomeno ricorrendo ad una serie di pratiche agricole tradizionali. 

Piccole fiamme di speranze che occorre a tutti i costi alimentare specie in un anno in cui, come testimonia l’inchiesta di Repubblica-L’Espresso, si prevede un incremento della raccolta rispetto all’anno horribilis del 2014 con l’ulivo falcidiato dalla mosca olearia. Ancora lontani i numeri delle stagioni da record, ma i caldi del 2015 dovrebbero aiutare i produttori in un contesto globalizzato che vede l’olio spagnolo, e soprattutto quello tunisino, rappresentare una voce sempre più forte dell’import italiano, con un incremento addirittura del 681% nel caso dell’olio africano. Prezzi bassissimi e qualità del prodotto modesta. L’Italia ha bisogno dei suoi ulivi per invertire la rotta.  

 

Nanoparticelle contro la Xylella: la sfida dell’Università del Salento 

 

La ricerca scientifica batte un colpo nella lotta contro il tempo per la cura degli ulivi dalla Xylella fastidiosa. Merito dell’équipe dell’Università del Salento, guidata dal ricercatore di Chimica presso la Facoltà di Ingegneria, Giuseppe Ciccarella, che sta lavorando al progetto cluster Tapass, finanziato dalla Regione Puglia per 549mila euro, sotto l’egida di Coldiretti. 

In collaborazione con il CNR-IPSP, l’Università degli Studi di Bari, in particolar modo la Facoltà di Agraria, e il Centro di Ricerca “Basile Caramia”, gli studiosi stanno cercando di comprendere i meccanismi che sono alla base dell’infezione e della morte della pianta. Lo scopo è quello di riuscire a riscontrare il batterio quanto prima possibile in modo, poi, da intervenire più efficacemente sviluppando una tecnologia fondata sui nanovettori, cioè immettendo dei rimedi farmacologici in grado di restare a lungo all’interno della pianta, permettendole la guarigione. Infatti, gli organismi vegetali, a differenza di quanto avviene per l’uomo, non hanno difese immunitarie, quindi una volta che si “ammalano” necessitano di più tempo per guarire. Insomma, non bastano semplici antibiotici, come vengono utilizzati negli Stati Uniti per contenere l’espandersi della Xylella nelle piantagioni colpite, con farmaci peraltro proibiti in Europa.

Per questo si è pensato di affidarsi a delle nanoparticelle in grado di penetrare lungo i canali linfatici delle piante per scovare il virus e combatterlo. Due sono le strategie che il gruppo di studio sta portando avanti: una diagnosi precoce che sia in grado di individuare l’insorgere dell’infezione e lo sviluppo di un rimedio in grado di arrestare l’infezione stessa. 

Nel primo caso, occhi puntati sul “metaboloma”, un insieme di molecole che regolano il metabolismo, allo scopo di capire quali piante siano malate e quali no. I metodi odierni, infatti, potrebbero non essere sufficienti. La Xylella blocca i canali linfatici a partire dai rami, l’acqua quindi evapora e non viene sostituita perché le vie di scorrimento dalle radici sono chiuse. Può, dunque, capitare che spezzando un ramo di ulivo per cercare il batterio, questo non sia ancora stato toccato dalla Xylella e quindi dare esito negativo. 

Con l’introduzione di molecole tutto questo viene scongiurato: le molecole sono in grado di spostarsi e si sta studiando un modo per rendere il nanovettore quanto più selettivo possibile. I dati preliminari ricavati dai test su piante di laboratorio esposte a coltura batterica, come ci conferma direttamente il professor Ciccarella, dicono che il nanovettore viaggia all’interno della pianta, cioè non si ferma nel punto in cui viene inoculato. E questo è già un buon traguardo. Inoltre, “le particelle sembrerebbero trovarsi vicino al batterio o all’interno di esso -sottolinea Ciccarella-. È chiaro, però, che vanno fatti altri esperimenti, seguendo il protocollo scientifico. Noi siamo molto fiduciosi, bisogna mantenere la cautela ma il nanovettore sembra manifestare una certa selettività verso il batterio”. 

 

Alessio Quarta