I ripetuti crolli che negli ultimi mesi hanno interessato le scogliere del Salento non rappresentano un fenomeno isolato, ma sono la conseguenza il più delle volte dell’azione spregiudicata dell’uomo, incurante delle conseguenze dell’urbanizzazione selvaggia sull’ambiente
Le coste della Puglia rappresentano un patrimonio inestimabile per una regione che fa del turismo una delle principali risorse economiche. Un tesoro che rischia seriamente di essere compromesso dalla continua erosione dei litorali rocciosi e dalla scomparsa delle spiagge: un fenomeno che ha le sue origini non soltanto nella natura geomorfologica del territorio, ma anche nell’azione a volte devastante degli insediamenti umani.
Paolo Sansò, professore associato di Geografia fisica e Geomorfologia presso la Facoltà di Scienze dell’Università del Salento, studia da tempo la situazione: “Le falesie rappresentano circa il 7% del perimetro costiero della Provincia di Lecce. Questo tipo di costa è costituito da ripide pareti rocciose, generalmente prive di vegetazione, corrispondenti alla superficie di distacco di frane da crollo indotte dall’azione di scalzamento al piede da parte del moto ondoso. L’arretramento della falesia avviene secondo un ciclo caratteristico. Il fenomeno inizia con il modellamento di un solco di battente intorno al livello del mare a causa dell’azione del moto ondoso. Il solco si approfondisce gradualmente nel tempo sino a determinare il crollo del blocco roccioso sovrastante. Si vengono così a formare una parete rocciosa coincidente con la superficie di distacco e un corpo di frana al piede. Il moto ondoso poi è responsabile dell’erosione del corpo di frana prima e del modellamento del solco di battente dopo dando inizio ad un nuovo ciclo di arretramento. La velocità con cui si realizza questo ciclo è funzione principalmente della resistenza del corpo roccioso e dall’energia del moto ondoso”.
Nel Salento le falesie sono tipiche di alcuni litorali tra i più belli dell’intera regione. Oltre al lato estetico esiste un problema di sicurezza: “Il ciglio di una falesia è un luogo pericoloso per cui andrebbe gestito con particolare cautela. Purtroppo questo non sempre è avvenuto nel passato. Facciamo due esempi: il tratto di costa di Torre Sant’Andrea, a nord di Otranto, è caratterizzato da un paesaggio molto suggestivo composto da falesie in rapido arretramento, archi costieri e piccoli faraglioni. Qui fortunatamente la costa non si presenta urbanizzata per cui i frequenti crolli non determinano alcun danno anzi una parte del materiale proveniente dall’arretramento della falesia va ad alimentare le spiagge degli Alimini”.
Il secondo caso il litorale di Torre dell’Orso dove, al contrario, è presente un’ampia area urbanizzata realizzata a ridosso del ciglio della falesia. “Un esame veloce della falesia mostra che sono quasi del tutto assenti i corpi di frana mentre il solco di battente è così approfondito da essere sostituito in alcuni punti da ampie grotte costiere. Dal punto di vista geologico ci troviamo nell’imminenza di un distacco e la presenza di persone e cose in quest’area pericolosa determina una reale situazione di rischio”. Secondo Sansò, le due situazioni non sono paragonabili: “Mentre per Torre Sant’Andrea, non è necessario alcun intervento, per Torre dell’Orso bisognerebbe individuare degli soluzioni per mitigare la situazione di rischio oggettivo creata dall’urbanizzazione selvaggia avvenuta negli scorsi decenni”.
E per evitare pericoli ulteriori si potrebbe procedere in due modi: “Il primo prevede la realizzazione di barriere frangiflutti davanti al piede della falesia per smorzare l’energia del moto ondoso eventualmente accompagnate da opere di consolidamento e sostegno della falesia in equilibrio precario”. I frangiflutti però, se da una parte riducono notevolmente l’arretramento delle falesie per un limitato periodo di tempo (le barriere vengono distrutte dalle mareggiate), dall’altra rischiano di distruggere la risorsa ambientale (cioè la bellezza del paesaggio, la qualità delle acque di balneazione e dell’arenile) che ha giustificato la nascita di quell’insediamento urbano e che costituisce il nucleo fondamentale dell’offerta turistica. “Il secondo modo di intervenire è quello di gestire l’arretramento, realizzando una fascia di rispetto parallelamente al ciglio della falesia. In sintesi, invece di cercare di cristallizzare una situazione di disequilibrio a tutti costi, si abbattono le strutture urbane a rischio (indennizzando in qualche modo i proprietari) per sostituirle con aree verdi, piste ciclabili, percorsi turistico-culturali. In questo caso un eventuale arretramento della falesia non verrà più a costituire un elemento di rischio ma anzi una importante fonte di ripascimento delle vicine spiagge”.