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L’ex Istituto Agrario di Nardò, tra incuria e vandalismo

Tre ettari di terreno e diversi locali versano in stato di completo abbandono. Lo scorso novembre un gruppo di giovani professionisti aveva lanciato la proposta per il recupero dell’area, a costo zero per il Comune 

 

Lucchetti divelti, erba incolta, scritte sui muri: è il triste scenario che si presenta davanti a chi accede all’ex Istituto Professionale Agrario di Nardò. Ciò che un tempo era una scuola professionale meta di studenti provenienti da diversi paesi della provincia, versa oggi in uno stato di assoluto degrado. non più attiva dalla fine degli anni ’90. 

L’immobile, di proprietà comunale, è situato sulla via che porta a Galatone e vanta una superficie di circa tre ettari. Si tratta di un’area potenzialmente utilizzabile per molteplici eventi come mostre, concerti, rassegne. Eppure la situazione è sconfortante: i terreni che ospitavano colture pregiate sono avvolti da sterpaglie che facilmente potrebbero prendere fuoco e non fanno eccezione i locali interni, alcuni dei quali concessi in uso alla Protezione Civile. Proseguendo il “tour” tra erbacce ed ex campetti da basket calpestati nell’ora di educazione fisica, si arriva all’ennesima scoperta: la porta di uno dei locali è stata divelta. All’interno sono custoditi gli attrezzi del Museo della Civiltà Contadina, un vero e proprio patrimonio di storia e tradizioni popolari, momentaneamente “parcheggiato” lì. “Molto probabilmente -raccontano alcuni ragazzi, che da tempo sollecitano le istituzioni per il recupero dell’area- alcuni oggetti sono stati rubati”. 

Incuria e vandalismo hanno quindi avuto la meglio, almeno finora. Sui muri di alcune stanze campeggiano scritte realizzate da mediocri graffitari che hanno voluto firmare le proprie “visite”. La notizia lascia l’amaro in bocca perché proprio l’ex Agrario è stato oggetto, lo scorso novembre, di un interessante progetto di recupero. Alcuni giovani neretini avevano infatti lanciato una proposta di valorizzazione dei terreni della scuola. L’idea, chiamata “Casa Biho” come l’omonima Associazione, aveva -ed ha ancora- come mission quella di attuare la cosiddetta “agricoltura sociale”, realizzando percorsi di promozione umana mediante il contatto con le piante e gli animali, l’utilizzo dei processi agricoli, i legami informali tra gli individui propri dei contesti rurali e la costruzione partecipata dei paesaggi come luoghi dell’identità, dell’abitabilità e dell’operosità creativa. 

L’entusiasmo aveva inizialmente coinvolto anche il primo cittadino Marcello Risi. Gli “inquilini” di Casa Biho erano infatti riusciti a strappare al sindaco la promessa del proprio impegno per il recupero dei terreni. Ma a quasi un anno di distanza nulla si è mosso. Il progetto, ci tengono a precisare i promotori, è a costo zero per le casse comunali. Non esiste quindi un “alibi” che giustifichi lo stato di incuria e abbandono di un’area potenzialmente in grado di trasformarsi in uno dei contenitori culturali più prolifici della città. 

 

Stefano Manca