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“Lei invece non fu per niente risparmiata, anzi mortalmente offesa”

Anche l’Abbazia di San Nicola di Casole scomparve: poche colonne biancastre, un puteale, alcuni fregi sopravvanzano solitari sotto il sole ardentissimo del Salento; scomparsi i rotoli di papiro, tante pergamene e sigilli. Ma nel grande vuoto, chiusa in sé, la Signora restò. I secoli passavano, ciò che accadeva intorno a Lei non era che una digressione; solo ciò che accadeva in Lei, restava. Grande stazione di smistamento della Storia. Così la bella Signora sperimentò ed esercitò su tutto il suo potere, che era forza classificatoria e appetito di spazio. A Lei spettava non solo il presente, ma la memoria del passato e la previsione del futuro, Lei di diritto era insieme nell’attualità e nell’eternità. Vennero però giorni che portarono alla Signora oscuri presentimenti: Lei si incupì nell’aspetto, diventò grandiosamente triste; nei suoi occhi passava l’ombra del Turco. Poi si arrivò a tempi decisamente sinistri, tempi forsennati: il 28 luglio dell’anno del Signore millequattrocentottanta, circa cinquecento anni or sono, i turchi venuti dal mare su galee, galeotte, fuste e maoni sbarcarono sottovento alle Fogge e subito inviarono un araldo a chiedere le chiavi della città. Gli otrantini, è ben noto, risposero buttandole in mare, alzando i ponti, calando le saracinesche, chiudendo i rastrelli. A questo punto la Signora si svegliò dall’incubo e capì subito il suo compito: suonò a martello e chiamò a sé i suoi uomini: fu trincea, campo di battaglia, cimitero. Fu anche palcoscenico di un finale alquanto sublime, almeno in conformità alle poetiche del genere drammatico: difatti il 12 agosto del 1480 anche a Lei spettò un illustre “assassinio nella cattedrale” e come la sorella di Canterbury accolse in grembo il suo arcivescovo pugnalato, di nome Stefano Pendinelli. Per farla breve e per chi è ignaro dei fatti, quando i turchi sfondarono la porta grande e invasero le navate, detto arcivescovo li apostrofò: “Miseri infelici, caduti nel profondo delle tenebre!”. I turchi impiegarono qualche momento a riprendersi dalla inimmaginabile apostrofe; appena si ripresero, lo pugnalarono. Oh buon Dio, che cosa potevano fare d’altro? Quindi le cose si misero per la Signora molto peggio che per la sorella di Canterbury, la quale tutto sommato, sacrilegio a parte, era stata risparmiata dagli assassini di Thomas Becket. Lei invece non fu per niente risparmiata, anzi mortalmente offesa: impossibile trovare ormai in Lei i segni dell’idea di Dio, vi si trovavano cavalli di truppa che battevano gli zoccoli sulle teste di Alessandro Magno e re Artù.

 

Maria Corti
da “La signora di Otranto”