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Il pegno dello banca

Il Governo vara il decreto di legge che avvia l’istituzione della Banca del Mezzogiorno, un istituto di credito promosso dallo Stato ma che dovrà essere gestito interamente da privati e da Poste Spa. Ma non tutti nell’esecutivo sono d’accordo, e fra coloro che sono contrari al provvedimento ci sono proprio i ministri “meridionalisti” Stefania Prestigiacomo e Raffaele Fitto. E perplessità sull’iniziativa arrivano anche dalle banche già operanti sul territorio

 

In questa intervista a Belpaese il ministro per gli Affari regionali Raffaele Fitto esprime le sue perplessità circa l’impostazione tecnica del disegno di legge che decreta la nascita dell’istituto di credito promosso dallo Stato. “Ma non credo -aggiunge- che esista il rischio per il ritorno di vecchi carrozzoni”.
Ministro Fitto, quali sono le sue perplessità circa l’istituzione della Banca del Mezzogiorno?
La mia perplessità è stata manifestata nelle sedi opportune. Essa riguarda due aspetti: per un verso il fatto che non è possibile separare le questioni del credito da un più generale intervento per il rilancio dell’economia meridionale. Per l’altro, nutro alcune perplessità anche tecniche sull’impostazione del disegno di legge che mi auguro il Parlamento voglia delineare con maggiore coerenza.
Ma c’è davvero il rischio che l’iniziativa possa rispolverare, come qualcuno ha detto, vecchi “carrozzoni” sulla falsa riga di un parente lontano della nuova banca, ovvero la Cassa per il Mezzogiorno?
Non credo che esista il rischio per il ritorno di quelli che vengono definiti “vecchi carrozzoni”. Sono convinto che la maturità complessiva delle forze produttive, sindacali e politiche sia incompatibile con pratiche che appartengono a un passato che mi auguro sia definitivamente tale.
Eppure  la Banca del Mezzogiorno, come nelle intese, dovrebbe sganciare il Sud da una logica di economia assistita, contingenza questa che si è verificata praticamente dal dopoguerra ai nostri giorni.
Il ragionamento è analogo. Le strutture inefficienti di un tempo hanno generato quella forma di politica economica che chiamiamo “assistenzialismo”. Posso anche pensare che forme di assistenza siano state necessarie in passato e che persino lo siano oggi. È evidente però che si tratta di forme temporanee e finalizzate al ripristino di un’economia produttiva.
Dalle opposizioni c’è chi parla della Banca del Mezzogiorno come di una manovra realizzata ad arte per “recuperare” allo smacco del dirottamento dei Fondi Fas invece promessi al Sud, ed al Tac in particolare.
Quando si parla del Fondo Aree Sottoutilizzate e della quota che di tale Fondo è stata utilizzata per i cosiddetti “ammortizzatori sociali in deroga”, si parla appunto di forme di assistenza che hanno ben poco di “assistenziale” ma sono rivolte a lavoratori che rischiano di pagare un alto prezzo alla crisi internazionale. Ma la crisi è anche l’occasione per riqualificare intere aree dell’apparato produttivo e aggiornare le competenze tecniche dei lavoratori. In questa visione nulla, di fatto, è stato sottratto alle Regioni. Stato e Regioni stanno semplicemente affrontando in forma coesa e solidale un’emergenza collettiva.
Anche lei, in fondo, spingeva per ben altri interventi-investimenti per il Sud.
Il Mezzogiorno ha bisogno di un piano di investimenti infrastrutturali. Mi pare che sia incontestabile. È necessaria una sinergia tra i vari livelli di governo per rendere efficienti le scelte, efficace e trasparente l’impiego delle risorse e soprattutto che siano certi i tempi di realizzazione. Siamo nell’imminenza della commemorazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Credo che il Mezzogiorno debba giungere a quest’appuntamento avendo già avviato, sia sul fronte del federalismo fiscale che su quello delle infrastrutture, un percorso virtuoso. Oltretutto non vedo alternative nella prospettiva di nuove adesioni all’Unione Europea che necessariamente imporranno un ridisegno nella gerarchia delle politiche di coesione.

 

Daniele Greco