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La rinascita del grano

Nonostante il crollo dei prezzi di mercato, le eccessive importazioni dall’estero e le frodi causate all’assenza di un efficace sistema di etichettatura, una boccata d’ossigeno per il settore cerealicolo pugliese arriva oggi dal fondo di 10 milioni di euro previsto dal Decreto legge degli enti locali. Intanto dal 2012 Ercole Maggio di Poggiardo, con i suoi “campi sperimentali”, ha riportato in vita cinque specie di grano di elevata qualità che nell’antichità erano coltivate in Salento 

 

Torna a respirare un vento di speranza sul comparto cerealicolo italiano grazie al fondo di 10 milioni di euro, previsto all’interno del Decreto legge degli enti locali dello scorso mese di luglio, che stabilisce criteri e modalità di ripartizione delle risorse. Sostanzialmente l’aiuto, per cui molto si è battuto in Conferenza Stato-Regioni l’assessore alle Risorse agroalimentari della Regione Puglia nonché coordinatore nazionale, Leo Di Gioia, prevede una somma in regime de minimis di 100 euro per ogni ettaro coltivato a frumento. 

Una cifra apparentemente irrisoria per quello che è il settore agricolo più rappresentativo del nostro Paese, ma che comunque rappresenta un sostegno per le aziende italiane vessate da speculazioni di ogni sorta, concorrenza sleale dai mercati esteri, prodotti che arrivano in Italia senza alcuna etichettatura. Problemi non nuovi per chi prova a fare del made in Italy tout court l’essenza del proprio lavoro e che, invece, si trova a combattere con compromessi di ogni genere e sorta. 

“L’intesa è stata raggiunta in 24 ore -ha precisato nei giorni scorsi l’assessore Di Gioia-. Il Decreto ci consente l’avvio della nuova campagna produttiva con uno strumento di sostegno importante. Per le imprese e i produttori tutti è una risposta concreta alle criticità più volte manifestate, che avrebbero ridotto al collasso l’intero settore. L’aiuto concesso rappresenta una boccata d’ossigeno per le imprese che operano nel settore le quali hanno, ad oggi, anche l’opportunità di incrementare la qualità e la produttività delle coltivazioni -conclude di Gioia-, contribuendo al rafforzamento di tutta la filiera cerealicola, nel medio-lungo periodo”.

Un primo passo importante a cui dovrebbe seguire, a detta dei vari rappresentanti di categoria, una battaglia per l’etichettatura che espliciti chiaramente il grano utilizzato per la produzione di pasta e pane in Italia, in modo da rendere più informati e consapevoli i consumatori. 

Si tratta comunque di un segnale significativo per un settore che negli ultimi anni è tornato indietro ai livelli degli anni Ottanta per quel che concerne il compenso, con le quotazioni del grano duro pugliese destinato alla pasta diminuite del 43% e quelle del grano rivolto alla panificazione scese del 19%. 

 

Un mercato ancora in bilico tra crollo dei prezzi e importazioni dall’estero


Il mercato del grano negli ultimi tempi ha dovuto affrontare una serie di problematiche di un certo rilievo: partendo da una bolla speculativa che ha inabissato il prezzo dei prodotti rispetto al 2015, passando per il ritrovamento di grandi quantità di cereale contaminato a Bari e Foggia, per concludere con il contrasto a frumenti provenienti da ogni parte del mondo e con etichettatura incerta, se non proprio assente. 

Fattore preponderante della crisi è quello economico: un crollo verticale delle quotazioni del grano, a 18 centesimi al chilo per quanto riguarda il grano duro e a 16 centesimi per il frumento tenero. E così in diverse Regioni del Centro-Sud Italia gli agricoltori sono scesi in campo con i loro trattori, con manifestazioni, scioperi e proteste. Una situazione che riguarda tutti, produttori e consumatori finali, con aumenti vertiginosi dei prezzi nella filiera che va dal grano alla pasta (+500%) e dal grano al pane (+1.400%). 

Alla base ci sarebbe la mancanza di un’etichettatura precisa che specifichi i dati di provenienza del frumento, a cui si aggiunge un’importazione a dazi zero per il grano proveniente dall’estero. E il paradosso principale lo fa registrare proprio la Puglia: se da un lato la nostra regione è la prima per produzione di grano duro, dall’altro detiene il primato di importazioni dall’estero. Se Coldiretti è convinta che sia possibile fare pasta con grano 100% made in Italy, altrettanto non si può dire per gli industriali italiani secondo cui l’importazione di grano dall’estero è vitale per l’intero settore. A farla da padroni Canada, Ucraina e Turchia che hanno visto incrementare a dismisura la quantità di grano esportato. 

Ma a tutto questo va aggiunto anche la necessità di migliorare la qualità dei siti di stoccaggio nostrani e le tecnologie a disposizione delle aziende. Il rischio di uno stoccaggio a lunghissima scadenza -oltre i 18 mesi dalla raccolta- è di vedere contaminato il prodotto da micotossine, sostanze tossiche per l’organismo umano, su cui, tuttavia, alcuni produttori hanno letteralmente speculato, finendo per incappare in reati. È successo dapprima a Bari dove a febbraio è finito in prigione Francesco Casillo, uno dei più noti imprenditori del settore, per aver comprato dal Canada e venduto 58mila tonnellate di grano inquinato da ocratossina, una sostanza fortemente nociva e cancerogena. L’accusa è di avvelenamento, adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari.  E un caso altrettanto eclatante si è ripetuto nel mese di luglio a Foggia dove gli agenti del Corpo Forestale dello Stato (nella foto) hanno sequestrato oltre 6mila quintali di grano duro contaminato da ocratossina di tipo A in quantità superiore al 50%, il limite massimo consentito dalla normativa vigente.

 
Alessio Quarta