Cerca

I “campi sperimentali” per la riscoperta delle antiche specie di cereali

Maiorca, Saragolla, Russarda, Capinera e Carosella: questi i nomi delle varietà di grano coltivate nell’antichità in Salento e riportate in vita negli ultimi quattro anni da Ercole Maggio 

 

In un contesto molto florido quale quello salentino, che pure si scontra come tutti gli altri con le problematiche legate al mercato globalizzato, eccelle una realtà tutta nostrana. Il “Mulino Maggio” di Poggiardo rappresenta un vero e proprio fiore all’occhiello della produzione di grano. E non stiamo parlando di frumento “commerciale”. Sin dall’ottobre 2012, infatti, Ercole Maggio (nella foto) ha avviato i cosiddetti “campi sperimentali” per riportare in vita cinque antiche varietà di grano leccese. Una ricerca, fatta di studi, consultazioni con anziani agricoltori e agronomi esperti, esplorazioni nelle vecchie masserie abbandonate con la speranza di ritrovare delle spighe cresciute per pura fortuna. 

Maggio, come mai un giovane decide di dedicarsi sia alla coltivazione del grano che al Mulino, attività sempre meno presenti nei nostri territori? 

La mia passione affonda le radici nella terra rossa del Salento, a cui sono molto legato, grazie anche a mio padre, Alessandro, che fa il mugnaio, e a mio nonno Ercole, agricoltore. Io e i miei fratelli li abbiamo seguiti entrambi in tutto quello che facevano, sin già da bambini. Riflettendoci su, avvicinarsi a questo mondo, per me, era la cosa più naturale che potessi fare (lavorativamente parlando), ma anche quella che mi appaga di più. 

Quando è nata la ricerca sui cereali antichi?

Quattro anni fa, per pura passione. Iniziai a selezionare a tavolino un cereale che mi incuriosiva per la forma e per il colore. Negli anni abbiamo riprodotto questo cereale, passando dai pochi metri, alle are, fino all’ettaro intero. Solo a cavallo del secondo e terzo anno siamo riusciti a dare un nome a questo cereale. Grazie anche all’aiuto degli agronomi del CNR di Bari e dell’orto botanico dell’Università del Salento abbiamo classificato questa varietà come Grano Tenero Maiorca, introdotto qui in Salento da parte dei Borboni durante la dominazione in Italia tra il 1700 e il 1850. Quest’anno, anche grazie al parere di anziani agricoltori, siamo riusciti a ritrovare altre varietà di cereali autoctoni (Saragolla, Russarda, Capinera e Carosella). Uno di essi, la Carosella, è stato persino ritrovato in un suolo edificatorio abbandonato.

Quali sono le peculiarità delle tipologie di grano che avete riscoperto? 

Le caratteristiche dei cereali che abbiamo ritrovato sono molteplici e abbracciano più ambiti di cui poter parlare. Innanzitutto, raccontano qualcosa in più della nostra storia e dei popoli che hanno attraversato il Salento: la Carosella venne probabilmente introdotta in epoca romana; la Capinera e la Russarda, invece, furono conosciuti durante i secoli caratterizzati dalle invasioni da parte dei saraceni; il Maiorca lo portano i Borboni. In particolare la Capinera era uno dei cereali più produttivi d’Italia, la Maiorca ha effetti “diserbanti” nei confronti delle erbe avversarie, risparmiando così sui prodotti chimici ma soprattutto sulla salute. La Carosella ha proprietà “marzuole”, ossia può essere seminato a marzo nei terreni dove c’è maggiore ristagno dell’acqua piovana. 

Quali benefici comportano per la salute umana?

Dal punto di vista alimentare, molte persone notano una migliore digeribilità usando farine ricavate dai cereali antichi. Il Maiorca ha, ad esempio, solo il 6%  di glutine ed è ottimo per la preparazione di pasta fatta in casa. Il Saragolla sembra avere effetti benefici a livello intestinale. Bisognerebbe incentivare la ricerca scientifica in questa direzione per scoprire ulteriori vantaggi. In campagna spesso i pro, rispetto ai contro, sono notevoli.

Come è organizzata la vostra filiera produttiva?

Il fiore all’occhiello della nostra azienda è la molitura a pietra. Abbiamo un mulino a pietra secolare, l’ultimo presente nell’intero Salento, con cui produciamo farine esclusivamente integrali e altamente digeribili. Inoltre, usiamo esclusivamente i cereali seminati qui in Salento, precisamente nei comuni delle terre d’Otranto. Abbiamo anche un mulino a cilindri, ma non è di tipo industriale. 

Qual è lo stato attuale del mercato del grano? Quali sono i limiti, gli ostacoli e quali potrebbero essere le possibili soluzioni?

Il mercato odierno del grano a mio parere è in espansione, almeno per quanto riguarda il Sud Italia. Anche i clienti ora sono molto più attenti su quello che arriva in tavola. Le istituzioni stanno lavorando nella direzione giusta. Soprattutto in Puglia, nel corso degli ultimi anni, sempre più aziende fioriscono nel settore agro-alimentare e spesso sono start-up giovanili. A mio avviso bisognerebbe però regolamentare meglio il mercato dei cereali, limitando ad esempio l’ingresso dei cereali provenienti dall’estero prima ancora che il nostro prodotto venga trebbiato, come è successo quest’anno, facendo incontrare la domanda e l’offerta nazionale in maniera più equa ed armoniosa. In questo modo si potrebbero fare maggiori controlli in dogana su ciò che arriva dall’estero. 

 

La Puglia e il grano: un connubio che dura da 32mila anni 

 

Puglia, terra di grano e di farina. E la storia d’amore è tutt’altro che recente, come testimonia la straordinaria scoperta fatta da un team di studiosi, coordinato da Marta Mariotti Lippi dell’Università di Firenze e composto da Biancamaria Aranguren della Soprintendenza Archeologica della Toscana, Anna Revedin dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Bruno Foggi dell’Università di Firenze e Annamaria Ronchitelli dell’Università di Siena, che ha rinvenuto nella Grotta Paglicci di Rignano Garganico la farina più antica del mondo, risalente addirittura a 32mila anni fa. Secondo lo studio pubblicato sulla rivista americana “Proceedings of the National Academy of Sciences”, in una cavità della grotta sono stati individuati residui vegetali presenti nei solchi di un pestello in pietra da macinazione. Una scoperta che ha del sensazionale e che dimostra come l’elaborata tecnica di lavorazione del cereale sia stata sviluppata ancora prima dell’avvento dell’agricoltura, cioè di quella fase evolutiva in cui l’Homo sapiens da cacciatore nomade diventa stanziale. Ed è fondamentalmente in questo periodo dell’umanità che si scopre l’importanza del frumento. 

Il grano ha dunque segnato una tappa rivoluzionaria nella fase evolutiva dell’uomo, diventando quella che lo storico francese Fernand Braudel ha definito “pianta di civiltà”. Nel libro della storia rientra a pieno titolo anche il Salento. In un documento risalente al 1882 risultano diverse varietà leccesi: per i grani duri le varietà di S. Pasquale, Nerime o Capinera (tra i più produttivi), di Lecce (utilizzato a Napoli nella fabbricazione della pasta), Marzuolo. Per i grani semiduri, le varietà Cicerella e Biancatella; il tenero di Maiorca per i grani teneri. 

Ma a farla da padrone per molti anni, con un importante ritorno ai giorni nostri, è il cosiddetto Senatore Cappelli, celebre per le migliori caratteristiche nutritive e la migliore adattabilità alle tecniche di agricoltura sostenibile. Fino all’avvento del Creso (1974), sostanzialmente un ogm che potrebbe essere alla base delle numerose intolleranze al glutine, il Cappelli era stato il grano più coltivato in Italia. Così denominata in onore del senatore Raffaele Cappelli che a fine ‘800 avviò una grande riforma agraria, questa varietà di frumento si adatta meglio all’agricoltura biologica, in quanto la sua altezza (160/180 cm.) e il suo apparato radicale molto sviluppato, fanno si che soffochi e tolga luce alle erbe parassite, riducendo enormemente in questo modo il bisogno di antiparassitari. 

 
Alessio Quarta – foto di Mulino Maggio