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La grotta di San Cristoforo a Torre dell’Orso

Un itinerario nella tradizione e nella devozione dai Messapi alla cristianità bizantina

 
Uno tra i primissimi approdi delle popolazioni che colonizzarono il Salento dai Balcani sin dal Paleolitico è il tratto di costa che va da San Cataldo a Castro, con le sue baie e le insenature che consentivano un facile scalo per le prime canoe degli antichi abitatori dell’Illiria. Per la sua conformazione naturale, con una baia a mezzaluna i cui corni erano caratterizzati da due promontori, un fascino del tutto particolare dovette avere la bellissima località marina di Torre dell’Orso, nel cui stesso nome è insito il culto di un animale totemico sacro alla dea madre paleolitica e pelasgica, l’Orsa. A rendere ancora più magico questo approdo erano due scogli gemelli, le “due sorelle”, attraverso i quali si poteva scorgere dalla baia il sorgere del sole. Ed in corrispondenza delle due sorelle, sull’alta scogliera di punta Matarico, nel IV secolo a.C., i Messapi scavarono una grotta per venerare i loro dei. 
Una grotta che appare conformata come un vero e proprio santuario messapico, con un masso cavo alla base e con una scaletta scavata nella roccia che conduce ad un terrazzamento e poi alla quadrangolare sala votiva, caratterizzata da una banchina sopraelevata rispetto al piano pavimentale che corre lungo i tre lati, le cui pareti sono piene di antichissime iscrizioni ed ex voto di marinai, tra le quali la più antica è quella dedicata all’altissimo ed invincibile dio (presumibilmente Teotor Andrilao) che tutelava i marinai che portavano a compimento il difficile attraversamento del Canale d’Otranto, da un lato all’altro delle due sponde o che ne chiedevano la tutela allorquando dovevano effettuare la traversata, come anche conferma l’iscrizione del I secolo a.C. da parte di un certo Felicior Hispanus.
Una tale abbondanza di segni conferma l’altissima frequentazione di questo luogo di culto da parte dei marinai che nelle nicchie adiacenti alla grotta accendevano lanterne votive e lasciavano coppe e trozzelle per venerare gli dei. Tra i vari ex voto spicca quello che raffigura una nave oneraria romana del III secolo d.C. (nella foto), forse l’ultima testimonianza pagana prima della cristianizzazione del luogo di culto, ridedicato al Santo che sopraintendeva i guadi e gli attraversamenti, San Cristoforo, un martire della Licia, morto nel 250 d.C. in seguito alla persecuzione promossa dall’imperatore Decio. Il culto di San Cristoforo, diffusissimo nel Medioevo tra la Spagna e la Turchia, si sovrapponeva a quello di altre divinità pagane, che sovrintendevano non solo i passaggi fisici, i guadi e gli attraversamenti, ma anche quelli spirituali, tra il mondo dei vivi e quello dei morti, come Ermete Psicopompo, Charun ed Anubi, il dio egizio della morte accomunato al Cristoforo bizantino dalla testa canina.
Tale impronta cultuale, evidentissimo simbolo della continuità ed unitarietà spirituale dell’Occidente romano e cristiano, dovette motivare la ridedicazione del tempio di Torre dell’Orso, che ancora oggi è testimone di un tempo in cui perfino la traversata del Canale d’Otranto richiedeva dai naviganti un tributo ai suoi dei.
 
Vincenzo Scarpello