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Eternit: niente grazia

Il Tribunale di Torino ha condannato a 16 anni di carcere gli imprenditori dell’amianto, il killer silenzioso che per anni ha ucciso gli operai nelle fabbriche Eternit in tutta Europa. Si riapre la speranza per i tanti emigranti salentini che hanno lavorato -senza alcuna protezione- negli stabilimenti in Svizzera e che, a distanza di anni, ancora non ricevono assistenza economica e sanitaria 
 
Inchiodati i mandanti. Il Tribunale di Torino ha emesso una sentenza di condanna a 16 anni di carcere il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis De Cartier, pena inferiore richiesta dal pubblico ministero Raffaele Guariniello per la vicenda dell’amianto killer nelle fabbriche di Eternit. Gli imprenditori erano alla sbarra con l’accusa di disastro doloso e rimozione di cautele. Il tribunale, con una sentenza che è stata definita storica per tutte le conseguenze che comporterà in futuro, ha ritenuto che ci fossero gli estremi per la colpevolezza per le imputazioni di disastro doloso e rimozione di cautele ma solo per quanto accaduto negli stabilimenti di Cavagnolo (Torino) e Casale Monferrato (Alessandria), mentre per gli opifici di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli) i giudici hanno dichiarato di non doversi procedere perché il reato è prescritto. 
Il magnate elvetico Stephan Schmidheiny e il barone Jean Louis Marie Ghislain De Cartier De Marchienne sono stati definiti dall’accusa sostenuta dai pm Raffaele Guariniello, Sara Panelli e Gianfranco Colace “responsabili effettivi” delle morti provocate dall’amianto lavorato in quattro stabilimenti italiani della multinazionale: quasi 2.200 decessi che hanno riguardato non solo gli operai ma anche le famiglie dei lavoratori coinvolti. La sentenza è considerata storica anche perché permetterà anche ai dipendenti delle altre fabbriche europee di cambiare il corso degli eventi: l’associazione belga dei familiari ha già chiesto che il Governo modifichi la legge che impedisce alle vittime che hanno accettato un risarcimento di agire per vie legali. 
Anche in Svizzera la condanna ha fatto scalpore e ha riacceso la speranza per il migliaio di emigranti salentini che prestarono la loro opera nelle fabbriche di Eternit senza alcuna protezione e che hanno dovuto soccombere agli effetti devastanti delle fibre di amianto, in molti casi nel silenzio generale. 
E la Puglia non ha dato solo un contributo “a distanza” perché la vicenda della Fibronit di Bari è ancora una ferita aperta: l’azienda, chiusa dalla metà degli anni Ottanta, che si trova all’intersezione di tre popolosi quartieri baresi, secondo le cifre ufficiali avrebbe causato il decesso di circa 360 persone tra residenti e lavoratori. 
 
I martiri salentini di Casale Monferrato
 
Nella fabbrica Eternit di Casale Monferrato lavorarono anche cinque salentini, deceduti nel corso degli anni per le conseguenze dell’inalazione delle fibre di amianto. Si tratta di Maria Bello, di Casarano, morta ad 84 anni per asbestosi; Antonio Melgiovanni, di Casarano, morto a 72 anni per mesotelioma pleurico; Fausto Notarpietro, di Casarano, morto ad 82 anni per tumore polmonare ed asbestosi; Agostino Masciali di Specchia, morto a 62 anni per asbestosi; Anna Lucia Carlà di Lecce morta a soli 33 anni. 
La sentenza è arrivata dopo due anni dall’inizio del processo e 65 udienze. Lunghissimo l’elenco dei risarcimenti: ai familiari delle vittime  spetterà un risarcimento di 30mila euro ciascuno per un totale di 120 milioni di euro. Ai sindacati andranno 100mila euro, 4 milioni al Comune di Cavagnolo, 15 milioni all’Inail, 5 milioni all’Asl, 20 milioni alla Regione Piemonte e 25 milioni al Comune di Casale.