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Dal “romanzo criminale” al “romanzo popolare”: il piccolo miracolo della legge n. 109/1996

La creazione della “Casa di accoglienza Don Giustino M. Russolillo” a Roma è stata resa possibile, oltre che dalla volontà incrollabile di don Antonio, anche dalla legge n. 106 del 7 marzo 1996. Tale legge introduce nuovi aspetti rispetto alla precedente legge n. 575/1965 e prevede che i beni immobili confiscati alla criminalità organizzata possano essere trasferiti al patrimonio del Comune ove l’immobile è sito, per finalità istituzionali o sociali. Il Comune può amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad organizzazioni di volontariato, a cooperative sociali o a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti. 

Tale legge rappresenta di fatto lo strumento più avanzato di contrasto alla criminalità organizzata nel campo culturale, sociale ed economico, prevedendo la restituzione alla collettività di grandi patrimoni accumulati illecitamente e colpendo le mafie in uno degli ambiti più importanti: la creazione del consenso sociale. Si afferma in tal modo che il mito dell’invincibilità delle mafie è falso, che essa si può sconfiggere e che la sua sconfitta può rappresentare in modo pratico e diretto una risorsa per il territorio. 

I beni confiscati rappresentano infatti opportunità di aggregazione e sviluppo, dimostrando che senza la criminalità organizzata la comunità cresce e che i criminali sono un ostacolo per lo sviluppo. Il riutilizzo sociale dei beni confiscati capace di coniugare aspetti pratici e simbolici, viene percepito dai territori come un modello di sviluppo possibile da contrapporre a quello mafioso.