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Con i Koreja nel cuore della nuova Europa

Attesissimo ritorno a Lecce, sabato 29 settembre, de La parola padre, nuova produzione internazionale di Koreja scritta e diretta da Gabriele Vacis 
 
Metti insieme una delle più innovative e audaci compagnie teatrali come i Koreja e uno fra gli insuperati esponenti del teatro italiano come il regista Gabriele Vacis, e il risultato è di quelli che mozzano il fiato. Come del resto si è abituati, ça va sans dire, quando ci si trova dinanzi agli occhi una produzione firmata Koreja, che con La parola padre si colloca nuovamente al centro dell’attenzione di tutta Europa. Lo spettacolo, infatti, reduce dal successo estivo riscosso a livello internazionale in Croazia, a Pazin, e in Albania, a Fier, e dalle tappe italiane di Ancona, Brindisi, L’Aquila e Andria, è prodotto nell’ambito del vigoroso progetto europeo “Archeo.S.”, finanziato dal Programma di Cooperazione Transfrontaliero IPA Adriatico (Lead Beneficiary Teatro Pubblico Pugliese). 
Elemento propulsore di “Archeo.S” è la cultura teatrale prodromica di un’officina transfrontaliera che implementi le risorse del territorio, dei beni culturali, del turismo e dello sviluppo sostenibile. Sotto la prestigiosa regia di Gabriele Vacis -sua pure la sceneggiatura- e l’attento coordinamento artistico di Salvatore Tramacere, La parola padre anima il palco delle voci e dei racconti di sei giovani donne, sei attrici selezionate da Koreja durante un giro di seminari nell’Europa Centro-Orientale. Ola, Anna Chiara, Simona, Irina, Alessandra, Rosaria. Tre italiane, una polacca, una bulgara e una macedone, ciascuna delle quali parla della propria storia, facendoci immergere nel “mare magnum” del loro vissuto più profondo. 
Spiega il regista: “Con le sei ragazze ho fatto lunghe interviste che ho ripreso in video. Più che interviste sono sedute psicanalitiche. Ho chiesto loro di raccontarmi quando hanno avuto davvero paura, quando si sono sentite al sicuro. La paura è il sentimento dominante del nostro tempo. Perché possediamo tanto. Perlopiù cose. Quindi abbiamo paura che gli altri, che il resto del mondo, a cui abbiamo rubato il tanto che abbiamo, ci presenti il conto. Abbiamo paura che ce lo portino via. Alle sei ragazze ho chiesto di raccontare storie -prosegue- non ho chiesto opinioni. Sono venute fuori testimonianze diverse: se una ha vissuto sei, sette anni sotto il comunismo, ha paure e desideri diversi da una che discende da Alessandro il Macedone. Per queste ragazze è molto importante raccontare il padre. I loro padri…fino ad Alessandro il Macedone. E la parola padre ha la stessa radice semantica della parola patria”. E tutte, come avremo modo di scoprire, hanno conti in sospeso con la loro patria. Tutte hanno conti in sospeso con i loro padri.
 
Claudia Mangione