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Cassa integrazione in deroga per i lavoratori dell’Omfesa

Tra crisi del settore e commesse che saltano, procede a singhiozzo il lavoro presso gli stabilimenti di Trepuzzi. E da settembre a rischio 120 posti di lavoro

 

Quei binari occupati da presidi e bandiere all’altezza di Trepuzzi che, impedendo ai treni di raggiungere e lasciare Lecce, costringono la politica a non ignorare il problema dei lavoratori, sono diventati un simbolo per l’Omfesa. Negli anni, le Officine Meccaniche del Salento ne hanno, infatti, viste tante di proteste e le più dure sono quasi sempre finite lì, lungo i binari dove passano quei treni da cui dipende il loro lavoro e anche, troppo spesso, la paura che non ce ne sia più.
Il più anziano tra i rappresentanti della categoria metalmeccanica nel Salento, il segretario provinciale della Fim-Cisl, Sergio Calò, elenca una serie di crisi ricorrenti da almeno vent’anni: “Quando arrivai, nel 1986, ricordo che per tamponare la penuria di commesse si tentò il salto dalla lavorazione dei carri ferroviari a quella dei container, qualche anno più tardi, quando la crisi tornò a farsi sentire, nelle officine venne realizzato un primo prototipo di compattatore per rifiuti urbani che infine però non arrivò alla produzione in serie. In tempi più recenti ci fu, infine, l’avventura dell’eolico”. La produzione delle pale eoliche destinate al parco Lecce Nord sembrava un’ottima chance per uscire dall’incubo del mercato ferroviario, che vede Omfesa legata alle gare sempre più scarse di Trenitalia e alle sorti più modeste delle Ferrovie Sud-Est. “Dopo molti confronti tra favorevoli e contrari, però -aggiunge Calò-, l’azienda perse la commessa che andò ad un concorrente del tarantino. Un’altra parte della produzione se la assicurarono invece a Brindisi e l’Omfesa, ancora una volta, restò a bocca asciutta”.
Dopo i vari tentativi di cambiare pelle e trasformare le lavorazioni dello stabilimento, il tutto con non pochi sforzi di riqualificazione anche da parte del personale, l’Omfesa è sempre tornata alla sua vocazione principale, i treni, croce e delizia. Dopo aver ottenuto la certificazione ministeriale che occorre per effettuare la manutenzione, il restyling ed il cambio d’uso delle vetture in uso da Trenitalia, l’ultima trasformazione è stata quella di una cinquantina di carrozze, passate da normali a “religiose”, ovvero destinate a portare i pellegrini nei luoghi di preghiera più richiesti. Non bisogna pensare a un lavoro di semplice maquillage di croci e santini, i vagoni hanno infatti bisogno di opere strutturali come alloggiamenti e scivoli per i malati in carrozzina diretti a Lourdes o a San Giovanni Rotondo. “Di fatto, però, è impossibile definire un vero piano industriale -spiega ancora Calò- e in parte il presidente non ha torto nel sostenere che le gare sono quelle che sono e dipendono in buona parte dalla ristrutturazione di Trenitalia”.
Ad oggi l’Omfesa lavora a singhiozzi e grazie a commesse vinte ma poi in parte revocate dagli amministratori di Ferrovie dello Stato. Il lavoro, quindi, basterà all’incirca fino a settembre poi i suoi 120 operai saranno di nuovo in pericolo. Dopo un mese di sciopero ad oltranza promosso da Cigl, Cisl e Uil, 15 lavoratori licenziati a marzo scorso sono stati reintegrati, ma la situazione resta calda. Nell’ultimo vertice in prefettura, la Regione ha assicurato la cassa integrazione in deroga (misura d’emergenza che arriva dopo la cassa integrazione ordinaria e anche dopo quella straordinaria) per i 72 lavoratori cui l’azienda non riusciva più a garantire lo stipendio. “In questo modo -conclude Calò- si andrà avanti fino alla fine dell’anno. Ma il direttore e presidente Ennio De Leo non ha mai fatto mistero che i lavoratori in esubero raggiungono spesso la metà delle unità  totali”.

 

Alessandra Lupo