Dopo il lungo restauro vengono via via smontate le impalcature che coprono Porta Napoli
Il paragone è forse arrischiato, ma, date le circostanze, d’obbligo. Come una bella donna che si sveste lentamente dei suoi indumenti, ammiccando con malizia al piacere dei suoi osservatori, così Porta Napoli, simbolo di Lecce e ambasciatrice all’esterno della sua arte, si spoglia lentamente delle impalcature di ferro e plastica che l’hanno tenuta nascosta in questi anni, ammiccando con devozione alla città che l’ha rimessa a nuovo e preannunciandole nuovo amore e fedeltà.
Lecce ha potuto finalmente riabbracciare il suo “arco di trionfo”, quella porta che da un lato guarda a Nord-Ovest, verso Napoli, e dall’altro apre le bellezze del centro storico agli occhi di visitatori e ammiratori. Nel suo stesso nome e nell’immaginario asse viario che conduce a Napoli questa porta racchiude lo stretto legame storico-artistico che per decenni ha unito il capoluogo salentino alla città partenopea, vista da sempre con ammirazione e un pizzico d’invidia.
Porta Napoli ha subito un lungo restauro, reso necessario per vincere le offese del tempo e restituirle l’originario splendore della sua pietra leccese. Per parecchi mesi è stata coperta dalle impalcature e da enormi teli di plastica stampati, che, secondo la moda del momento, hanno l’utilità di restituire agli occhi dei cittadini e soprattutto dei turisti una temporanea veduta bidimensionale del monumento. Roba da far rabbrividire Walter Benjamin e le sue teorie sulla riproducibilità meccanica dell’arte, ma che tutto sommato rappresenta un surrogato accettabile, un compromesso migliore di una panorama di travi di legno e ferro. Il telo-surrogato ha, inoltre, un’altra funzione non richiesta. Non copre solo le impalcature, ma anche gli operai e il prosieguo dei lavori. Chi era abituato a vivere quotidianamente la visione del monumento, si adatta pian piano a questo suo sostituto “olografico”, lo accetta e non vive l’impazienza della fine dei lavori. Al termine di questi, diviene così più dolce godere della riscoperta, del repentino risveglio dal letargo della visione amica.
Il risultato del restauro di Porta Napoli è valso tutta l’attesa: molto simile a questa doveva essere l’originaria versione della porta che fu edificata nel 1548 per mano di Giangiacomo dell’Acaya, in sostituzione della vecchia porta di San Giusto. Nel ‘600 le porte non erano fatte solo per aprirsi o per chiudersi e difendersi, ma venivano innalzate anche per celebrare e per raccontare. Porta Napoli, infatti, costruita sulla base dello stile degli archi di trionfo romani, fu eretta in onore dell’imperatore Carlo V, per raccontare e ricordare le sue gesta eroiche e l’aiuto militare che egli offrì alla Terra d’Otranto contro le incursioni dei Turchi. Proprio all’imperatore sono dedicati lo stemma imperiale asburgico e l’iscrizione che compaiono nel timpano superiore.
All’epoca così come oggi, dunque, porte e monumenti ritrovano solo in un secondo momento il loro fine ultimo nel mero piacere estetico dell’arte, che deve cedere il passo di fronte agli interessi ben più strumentali della politica. Non è un caso, infatti, che una vigorosa spinta all’ultimazione dei lavori sia stata data dal recente passaggio del G8 economico in città e dalla necessità di rappresentarsi all’altezza dei grandi della terra.
La porta, che in precedenza era un tutt’uno con la cinta muraria, ora sorge isolata, in seguito ai rifacimenti ottocenteschi e alla demolizione delle mura stesse. Ma non ha dismesso la sua funzione di celebrare e raccontare. Oggi celebra l’arte e la bellezza imperitura della città, che di turismo vive e di simboli come Porta Napoli ha bisogno per sponsorizzarsi all’esterno. E racconta anche di una Lecce che non guarda più solo a Napoli, ma all’Europa e al Mediterraneo e che proprio del titolo di “Porta d’Europa” ha voluto non a caso fregiarsi di recente. È ora, dunque, di dare il bentornato a Porta Napoli, a questo monumento tutto fatto di pietra leccese e barocco, che rappresenta nell’intimo l’anima del capoluogo salentino e la sua voglia di aprirsi al mondo.
Giorgio De Matteis