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Blasi: Mi congedo con onore da Melpignano

In questa intervista a Belpaese Sergio Blasi, senza se e senza ma, esclude di ricoprire incarichi istituzionali nella sua città e richiama la politica alle sue responsabilità 

 
La lettera di congedo dalla città di Melpignano segna un addio o un arrivederci? 
Questa mattina sono stato all’edicola e al bar, per incontrare le persone, come ho sempre fatto, prima di cominciare la giornata di lavoro. Chi ha avuto un rapporto forte con una comunità forse avrebbe anche senso che continuasse quell’esperienza. Lo abbiamo visto in vari comuni, chi ha fatto il sindaco fa il vice sindaco. Adriana Poli Bortone a Lecce, Gorgoni a Cavallino, Luisa Rizzo a Uggiano. Più di un anno e mezzo fa avevo detto ai miei consiglieri: “Ora tocca voi”. 
Vuol dire che non avrà alcun incarico in Giunta? 
Io non mi ricandido neppure al Consiglio comunale perché si deve interrompere la visione della politica come lascito dinastico. Se io fossi lì, anche soltanto come consigliere, comunque il giudizio delle persone sarebbe condizionato dalla mia presenza. Se stessi lì, mi attribuirebbero tutti i meriti di una buona amministrazione e nel caso contrario sarebbero tutti dispiaciuti per la mia posizione di secondo piano. Io credo che i prossimi amministratori debbano avere responsabilità piena.
Nessun rimpianto? 
La stagione che ho vissuto a Melpignano è stata la più bella. Ho amministrato con il cuore e con la mente, per cinquecento euro al mese. Facendo il sindaco andavo al lavoro prendendo il pullman per gli spostamenti: con il sole e con la pioggia. Un presidente americano, Lincoln, diceva: “Non è importante vincere, ma fare la cosa giusta”. E spesso le due cose coincidono.
Anche in un Comune soldi ne girano: come può un’amministrazione difendersi dagli appetiti che possono innescare corruzione e mala gestione? 
Bisogna che la politica si tenga lontana dalla gestione degli appalti. Il primo atto che ho fatto stilare, appena eletto sindaco, riguardava due decreti che portavano al massimo la premialità dei dirigenti comunali. Sino a quel momento percepivano, per le responsabilità che dovevano assumersi, il minimo: 10 milioni l’anno. Firmato l’atto convocai i dirigenti e spiegai che riponevo in loro la massima fiducia sulla capacità di saper tradurre, in maniera chiara e limpida, la mia azione politica. Per questo portavo al massimo la premialità. 
In apparenza una soluzione semplice.
Occorre che ci sia il primato della politica e questo è un paese debole e vecchio che ha perso questa centralità. La politica deve decidere quali opere bisogna realizzare, ma la procedura non deve essere materia di interesse per la politica. 
Che cosa segna il punto e a capo nel governo della Regione? 
La nostra regione è stato un laboratorio di tanti progetti: Bollenti Spiriti, Principi Attivi, Contratto Etico, Ritorno al futuro, che sono stati oggetti di studio e attenzione a livello europeo. Abbiamo sdoganato una generazione che oggi è soggetto e non oggetto della politica: non credo sia poco.
Ovviamente sappiamo bene che non ci sono state solo luci. In primis dovete rispondere della gestione della sanità. Quali sono le garanzie per il cittadino?  
Dobbiamo ribaltare la tendenza degli ultimi anni di personalizzare la politica, di puntare al protagonismo e tornare al rispetto delle regole. Anche nel disagio, nella disaffezione che prende e che capisco, che spinge a stare a casa, in quel momento la politica non si ferma e vincono gli scaltri, le lobby, vince chi ci fa credere che la partita può essere giocata solo da loro. Ecco perché questa regione appare pericolosa a chi ha una visione della politica che sia materia esclusiva di alcuni. Pur con gli errori che senz’altro ci sono stati, questa Regione ha dimostrato che c’è un Sud differente, un Sud che non è solo una zavorra per un’altra parte del paese. Perché lo stereotipo che si vuol far passare è quello di un Sud piagnone, attraversato dalla criminalità, malato di assistenzialismo. 
 
Maddalena Mongiò