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Alessandro Magno ed il suo Salento

Anche uno dei più grandi condottieri dell’antichità fu interessato alla conquista della Terra d’Otranto, dove incontrò tuttavia una ferma resistenza da parte di Messapi e Iapigi
 
Accadde dunque che lo stesso Alessandro Magno pose il suo sguardo sulle terre di Messapia, desideroso di impadronirsene. Questi inviò in cognato Alessandro, re d’Epiro, detto il Molosso, che ne aveva sposato la sorella Cleopatra, al fine di assoggettare definitivamente quel popolo che pervicacemente resisteva a Taranto e che nessuno era stato in grado di soggiogare. 
Alessandro il Molosso radunò un esercito numerosissimo, sbarcando nell’anno 330 a.C. in Puglia e, contrariamente a quanto avevano fatto i generali che lo avevano preceduto, i quali avevano confidato troppo sul loro valore o sulla preponderanza in campo aperto delle proprie forze, pose in atto un preciso piano strategico di ampio respiro, volto ad annientare la resistenza dei Messapi e dei loro alleati Peucezi e Dauni. 
Per non rimanere schiacciato nel Salento tra Messapi (dal fronte meridionale) e gli altri Iapigi (dal fronte settentrionale), il cognato del grande Alessandro ne imitò la manovra strategica, puntando dapprima ad annientare gli alleati dei messapi, per poi occuparsi delle città salentine. Decise pertanto di sbarcare in più punti della costa pugliese, partendo da Nord per poi procedere verso Sud, avendo il fianco occidentale protetto dagli alleati tarantini. La strategia di Alessandro si rivelò inizialmente vincente, tanto che riuscì a conquistare il porto Dauno di Siponto, dal quale si mosse con incredibile rapidità, congiungendosi con le altre truppe che erano sbarcate tra Molfetta e Giovinazzo, riuscendo così a prevenire ogni organizzazione difensiva da parte delle popolazioni dell’interno.
La capitale della Peucezia, Rubi, cadde ed i peucetii sconfitti accettarono un’alleanza contro i messapi, e così accadde coi dauni, assediati nella loro capitale Arpi. I messapi si trovarono così da soli a fronteggiare il terribile nemico che veniva dal mare. Peucezi e dauni, tra l’altro, non avevano più nulla da temere dai tarantini, ai quali erano legati ormai da antichi privilegi commerciali, ma erano piuttosto sottoposti alla spinta espansionistica di Lucani e Sanniti, che li premevano dagli Appennini. 
 
I messapi contro la Falange macedone
Le operazioni militari che seguirono la caduta di Rubi ed Arpi dimostrarono tutta la formidabile capacità militare e la versatilità della falange macedone, che seppe mettere a frutto anche in territorio pugliese, la confidenza con la difficoltà dei movimenti, ampiamente acquisita nel territorio della madrepatria, e la decisività della manovra, che si scomponeva nel nucleo oplitico dei Pezeteri sarissofori, in grado di frenare con le lunghissime lance l’assalto di qualsiasi cavalleria, nella fanteria leggera degli Psiliti e nella fanteria media di appoggio dei Peltasti. 
I Lucani e Sanniti intanto avanzavano da nordovest e i Messapi continuavano a costituire un pericolo da Sud; Alessandro marciò contro questi ultimi, al fine di proteggersi le spalle in vista dell’imminente battaglia contro i sanniti. I Messapi furono vinti in battaglia, ma non si assoggettarono all’alleato dei tarantini, come avevano fatto i Peucezi ed i Dauni. Al contrario, si tennero pronti a riprendere le ostilità allorquando la situazione strategica sarebbe mutata. Alessandro mosse l’esercito in Basilicata e Calabria, dove piegò la resistenza dei Lucani (Eraclea fu riconquistata e restituita ai tarantini) e dei Bruzii, la cui capitale, Cosenza, venne occupata, e poi sconfisse nuovamente i lucani nella valle del Silaro. A garanzia dei trattati Alessandro fece mandare in ostaggio in Epiro trecento illustri famiglie dei popoli sconfitti. 
 
L’atroce destino di Alessandro il Molosso
A salvare l’Italia dall’egemonia macedone fu però il timore dei tarantini di perdere il controllo di un così ingombrante alleato, che aveva tra l’altro inflitto uno smacco non indifferente alla città ionica, ponendo la sede della lega italiota a Turi, e non ad Eraclea, come invece auspicavano i tarantini. Questi si ribellarono e trascinarono Peucezi e Dauni in una campagna contro l’ex alleato macedone, costretto a svernare nella valle del Crati, da una nuova ribellione di Bruzii e Lucani. Tra gli acquitrini di Pandosia, che le piogge dell’inverno del 330 a.C. avevano reso una trappola mortale, Alessandro ed il suo esercito incontrarono una fine orribile: l’esercito epirota, a cui si erano aggiunti 200 infidi soldati lucani, venne diviso dalla conformazione dei luoghi in tre tronconi. Lucani e Bruzi attaccarono e annientarono i due tronconi laterali, per poi concentrarsi sulla guardia personale di Alessandro. Questi, vistosi perduto, in un estremo atto di coraggio sfidò a duello il comandante lucano e lo uccise, ma nel tentativo di guadare il Crati, venne colpito a morte da un esule lucano con un giavellotto. 
 
Nuove guerre e nuovi alleati
Immediatamente i Messapi, approfittando della sconfitta di Alessandro,  ripresero l’eterna guerra contro i tarantini, cercando di collegarsi con gli alleati lucani e di ristabilire il quadro geopolitico precedente alle conquiste di Archita. L’esercito messapico mosse verso Eraclea ma mentre era sul punto di congiungersi con quello lucano, venne provvidenzialmente sconfitto dall’anomala alleanza tra Dauni e Peucezi e Tarantini, i quali riuscirono a contenere le rivendicazioni messapiche all’interno dei confini stabiliti da Archita.
Il pericolo sannita riuscì a costituire un fattore stabilizzante tra Messapi e le altre popolazioni della Puglia. Ormai il confronto tra identità Iapigia e colonia spartana aveva ceduto il passo al pratico criterio della convenienza politica, accentuata dall’aggressività dei pastori sanniti, che dalle montagne appenniniche spesso sconfinavano, in armi, per impadronirsi di nuovi pascoli nelle pianure pugliesi, ad evidente danno di Dauni e Peucezi. In funzione antisannitica tutti gli apuli si dichiararono disponibili ad inviare un esercito ad una popolazione che in quegli anni stava conducendo contro i Sanniti una guerra senza quartiere, e con questo popolo strinsero un’alleanza nel 326 a.C. Roma così prendeva i primi contatti con popolazioni che non aveva mai conosciuto e che le offrivano una fondamentale alleanza contro il nemico del Sannio.
 
Vincenzo Scarpello