L’imprenditore Adelchi Sergio minaccia di dimettersi dalla dirigenza del gruppo calzaturiero, dopo che gli operai, in un momento di rabbia, gli hanno rivolto invettive. Con la conseguenza che ogni trattativa sarà chiusa
Sergio Adelchi si dimette? È questo il colpo di scena della lunga vertenza dei lavoratori dell’azienda tricasina. E già. Nella fase più critica, dura e difficile che l’Adelchi ha vissuto da quando è sorta, è bastata qualche parola di troppo dei lavoratori in un momento di rabbia a indurre il patron del gruppo a “meditare sulla eventuale formalizzazione delle dimissioni da ogni incarico direttivo nelle aziende del cosiddetto cluster Adelchi”. Le motivazioni? In un comunicato stampa, l’imprenditore scrive che “ora la misura è colma”, perché nella serata del 12 ottobre è stato “fatto oggetto di una violentissima aggressione verbale nei pressi del circolo cittadino di Tricase e successivamente è stato letteralmente assediato in casa da un gruppo di persone che hanno ripetutamente turbato la quiete familiare con invettive e continui trilli al citofono”. Invettive, dunque, e trilli al citofono, che dovranno essere sembrati come reali minacce di morte, da “caccia all’uomo”, da “spedizioni punitive” inaccettabili.
Il risultato? “Questo clima di violenta intimidazione -si legge nel comunicato- fa venire meno le condizioni minime perché si possano serenamente e costruttivamente mettere in campo energie e risorse per una difficilissima impresa di ristrutturazione”. Insomma, dialogo interrotto, perché si deve “registrare una plateale mortificazione dell’onore e del decoro del sottoscritto come uomo e come imprenditore ed una gravissima violazione delle più elementari norme del vivere civile”. Da qui, “il fallimento di ogni tentativo di concertazione”. Per i più la vicenda ha del paradossale. Dopo quasi un mese di protesta, in cui ai lavoratori sono toccati solo continui rinvii, tra cui quello dell’incontro regionale previsto entro martedì scorso ma fissato per lunedì prossimo, l’onore e il decoro mortificati dei 560 operai in cassa integrazione da mesi non contano tanto.
Eppure, tant’è. La comunicazione di Sergio Adelchi arriva in un momento di estrema debolezza dei lavoratori, alle prese con una (quasi) inspiegabile frattura tra i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, decisi a sostenere l’accordo raggiunto a Bari il 7 ottobre, e sindacati autonomi, Filtac Conflavoratori e Cisal. L’assemblea degli operai, infatti, ha già rifiutato l’intesa barese, troppo generica nel dire che entro fine novembre rientreranno in fabbrica quaranta lavoratori, secondo una turnazione che non ha stabilito né tempi né modalità. La richiesta di un ulteriore tavolo in Regione dovrebbe servire proprio a mettere tutto nero su bianco e garantire il reintegro certo. La rottura dell’unità operaia, però, non ha fatto altro che far degenerare il tutto. La protesta si è riaccesa, il municipio di Tricase è stato di nuovo occupato, le istituzioni hanno rinviato i tavoli, l’esasperazione dei cassa integrati ha fatto volare parole pesanti e disperate. E l’imprenditore ha tirato i remi in barca. Certo, si dice che quando la nave affonda il comandante è sempre l’ultimo ad abbandonarla. Nella peggiore delle ipotesi affonda con lei. Ma anche in questo, Adelchi Sergio ha dimostrato di essere molto diverso dagli altri.
Tiziana Colluto