Cerca

La stagione della terra bruciata

La Polizia Municipale di Melendugno in prima linea contro i focolai appiccati nelle campagne per bruciare gli scarti di potatura. E il comandante Nahi lancia un appello: “Segnalateci i trasgressori” 

 

Smaltire gli scarti della potatura degli ulivi appiccando roghi potenzialmente pericolosi per la salute dei cittadini. Questo è una delle tante e annose criticità del Salento e che nelle ultime settimane sta interessando particolarmente i territori comunali di Melendugno e Calimera, come anche le altre aree limitrofe. Solitamente la colpa è di chi invece di dare fuoco alle sterpaglie nelle prime ore del mattino, quando focolai e fumo si esauriscono in poche ore, lo fanno nel pomeriggio, con l’umidità, ed eventualmente il vento, che ne favoriscono lo sviluppo. Gli odori provenienti da questi roghi hanno creato non pochi disagi ai residenti dei comuni limitrofi, considerando anche la possibile combustione di residui di sostanze chimiche (erbicidi e pesticidi) utilizzate nelle attività agricole.

A contrastare in prima linea questo fenomeno è il comandante della Polizia Municipale di Melendugno, Antonio Nahi, che aggiorna costantemente i suoi concittadini attraverso la sua pagina Facebook “Il Capitano risponde” e che ha reso pubblico un numero di telefono per inviare attraverso WhatsApp ogni tipo di segnalazione: “Fortunatamente -spiega il comandante Nahi- ho sempre avuto delle amministrazioni che mi hanno lasciato lavorare liberamente. Da 12 anni porto avanti questa battaglia, che però solo a parole è condivisa anche dai sindaci e dai colleghi dei comuni confinanti. Con i nostri interventi questa pratica è cessata in quasi tutto il territorio comunale, anche a suon di sanzioni da 166 a 500 euro (in caso di recidiva), persistendo solo nella frazione di Borgagne”. 

Il comandante Nahi si sente quindi solo in questa lotta, anche in considerazione di un particolare paradosso: “Quando riscontriamo la presenza di un focolaio cerchiamo la visura di quella determinata area attraverso il Gps, ma spesso ci accorgiamo che appartiene ai territori comunali circostanti e, ovviamente, non ci è consentito intervenire. Se non si trova un’intesa con tutti i comuni limitrofi, difficilmente riusciremo ad estirpare questo fenomeno”. 

Nei giorni scorsi si è svolto a Borgagne un incontro che aveva come obiettivo quello di sensibilizzare i cittadini su questa problematica, auspicando che anche nella frazione questo fenomeno possa cessare. Ed è a tutti i cittadini, melendugnesi e limitrofi, che Nahi rivolge un appello: “Viviamo in un’area meravigliosa, priva di ciminiere ed industrie, e la stiamo noi stessi distruggendo solo per risparmiare pochi euro, lasciando ai nostri figli un futuro di veleni”.

 

I rischi per l’ambiente e la salute dei cittadini

 

L’allarme lanciato dal comandante Nahi è legato soprattutto ai possibili effetti sull’ambiente e sulla salute della popolazione della vasta area interessata da questi fenomeni. Ci sono diversi fattori da considerare sotto questo aspetto, tra cui l’utilizzo in grande quantità di pesticidi e fitofarmaci nelle attività agricole; si tratta di una pratica diffusa e le cui conseguenze sono facili da immaginare. Bruciare foglie, rami e sterpaglie trattati con sostanze chimiche significa immettere nell’aria elementi tossici o cancerogeni, aumentando i pericoli per l’organismo e la salute dell’uomo, oltre al disagio degli odori sgradevoli che si percepiscono soprattutto nelle zone periferiche dei comuni. 

I primi a risentire degli effetti dei fumi provocati dalla combustione del materiale agricolo di scarto, soprattutto proveniente dalla potatura, e dall’odore conseguente, sono però coloro che purtroppo già devono fare i conti con particolari patologie, come asma o altre criticità mediche legate alla respirazione o al cuore. A Melendugno pare non siano stati pochi i casi di bambini affetti d’asma in difficoltà di respirazione a causa del fumo e degli odori emanati da roghi; situazioni delicate che spesso hanno reso necessario l’intervento del 118. E le stesse emergenze si sono verificate anche per alcuni cittadini anziani, anch’essi costretti a rivolgersi al personale medico. 

 

Antonio Bruno: “L’alternativa ai roghi? Il compostaggio”

 

Accendere focolai per eliminare gli scarti della potatura non è solo pericoloso, ma anche illegale se messo in atto con le modalità sopra citate. L’agronomo e presidente dell’Associazione dei Dottori in Agraria e Forestali della provincia di Lecce Antonio Bruno spiega infatti che “la legge regolamenta queste attività stabilendo che chiunque voglia bruciare sterpaglie, soprattutto foglie di ulivo, ha l’obbligo di informare il Comune e rispettare gli orari indicati nelle ordinanze emanate degli stessi. A quest’ultimi, quindi, spetta il compito di organizzarli nel tempo, in modo che non si verifichino incresciose situazioni”. 

Ad ogni modo, per smaltire questi residui esistono altre modalità, sicuramente più utili e non pericolose: “Consideriamo innanzitutto che i nostri terreni hanno una percentuale di sostanza organica in molti casi inferiore al 1%, cioè sulla soglia della desertificazione -spiega l’agronomo-. Qualsiasi apporto di sostanza organica, quindi, non può che essere salutare per ricreare equilibrio all’interno dell’ecosistema suolo. È evidente che questa strada è facilmente percorribile con il compostaggio, ma in realtà basterebbe anche una lavorazione superficiale del terreno per interrare queste foglie, affinché diventino materiale per i microrganismi presenti e le loro successive trasformazioni”. 

È ovviamente importante che su questi scarti di lavorazione non siano state applicate sostanze chimiche nocive, ma Bruno, pur non escludendone la possibilità, ci va cauto: “Bisogna innanzitutto capire cosa accade nel processo di combustione e quali sono i residui dei prodotti che vengono bruciati. Non sono convinto che si faccia un uso elevato di sostanze chimiche, ma in questo senso sarebbero utilissime una serie di analisi sui fumi dei focolai accesi”. 

Per Antonio Bruno, infine, la cattiva pratica di bruciare le sterpaglie indiscriminatamente è una conseguenza di una crisi strutturale del settore olivicolo partita da lontano: “Oggi la maggior parte degli agricoltori ha la proprietà di piccoli appezzamenti di terreno, han un’età maggiore di 70 anni e non ha la prospettiva di lasciare in eredità la loro attività ai figli, che invece hanno altre ambizioni e interessi”. 

 

Alessandro Chizzini