Sì è chiusa in questi giorni una fase importante dei lavori per il recupero dell’area archeologica presso la marina di Melendugno, un vero e proprio museo a cielo aperto ricco di reperti che vanno dal Neolitico (come nel caso della Grotta Poesia Piccola) all’Età del Bronzo (in cui Roca era uno dei porti più importanti di tutto il Mediterraneo) sino all’Età del Ferro e al Medioevo. Il prossimo obiettivo? Offrire ai futuri visitatori una fruizione ottimale dell’area, anche attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie, come app per smartphone e ricostruzioni in 3D
Un diamante ai piedi del mare, da porto florido passando per antica fortezza militare sino a straordinario museo a cielo aperto. Il Salento scopre, di volta in volta con maggiori dettagli, le immense meraviglie di cui s’adorna il sito archeologico di Roca Vecchia. I lavori, iniziati a primavera del 2016 e che andranno avanti, così come da progetto, fino al 2017 stanno portando alla luce nuove prospettive di visione. Il tutto grazie ad un finanziamento di 753mila euro che rientra nei fondi a disposizione della Regione Puglia e che il Comune di Melendugno è riuscito ad aggiudicarsi per il “Recupero conservativo, valorizzazione e fruizione dell’area archeologica di Roca Vecchia”.
E così, estirpate molte delle erbacce presenti, ne vien fuori la ricchezza di un sito culturale di assoluto prestigio per tutta l’Italia. Il lavoro viene svolto da archeologi e, in particolar modo, dagli studenti del corso di laurea di Beni Culturali dell’Università del Salento, tutti giovani tra i 25 e i 40 anni, sotto la supervisione del professor Teodoro Scarano, archeologo e responsabile del progetto.
A partire dalla scoperta della Grotta Poesia, grazie all’opera straordinaria del compianto professor Cosimo Pagliara, ogni anno praticamente sono stati fatti nuovi scavi, in accordo con la Soprintendenza dei Beni Archeologici della Puglia. Trent’anni di fatiche incessanti e costanti per scoprire i mondi che ruotavano intorno alle frastagliate coste di Roca. Perché qui stiamo parlando di un patrimonio storico che parte dal Neolitico per concentrarsi nell’Età del Bronzo, in cui molto probabilmente Roca era uno dei porti più importanti di tutto il Mediterraneo, sino all’Età del Ferro e al Medioevo.
Un prezioso involucro di storia e di storie che gli studiosi stanno ancora cercando di decifrare in tutti i suoi dettagli e di ricomporre con pazienza e passione. A tutto ciò va aggiunta un’assunzione di consapevolezza -percorso che è ancora tutto da compiere- di avere tra le mani e sotto i piedi un tesoro di valore inestimabile. Tuttavia, qualcosa comincia a muoversi anche sotto questo aspetto. In uno dei luoghi privilegiati per gli amanti dei tuffi acrobatici in piena estate, ad esempio, si stanno riducendo gli ombrelloni piantati selvaggiamente in mezzo a pietre millenarie.
Gli obiettivi a breve termine sono fondamentalmente due: limitare la circolazione di veicoli, con tanto di parcheggi “fantasiosi” sulla litoranea e, attraverso le moderne tecnologie, dotare i visitatori del polo archeologico di attrezzature in grado di riprodurre fedelmente in 3D quello che era la Roca di un tempo, guardando oltre la semplicistica visione di un insieme di pietre antiche.
Una storia lunga 4mila anni
La storia di Roca Vecchia è incisa nei millenni dell’umanità. Il Galateo, al secolo Antonio De Ferraris, fu il primo nel 1558 a segnalare nel De situ Japigae la presenza di resti riconducibili ad un importante insediamento su cui Gualtieri VI di Brienne edificò una cittadella fortificata che veniva chiamata “Rocca”. I primi scavi vennero effettuati tra il 1928 e il 1932 grazie all’impegno di don Guglielmo Paladini, poi dopo uno stallo di quasi vent’anni, i lavori ricominciarono sotto la supervisione prima di Mario Bernardini, direttore del Museo Provinciale di Lecce, e poi di Giovanna Delli Ponti.
L’impatto più incisivo nella scoperta dei reperti, dei graffiti e delle incisioni rinvenute a Roca è dovuta, fondamentalmente, al lavoro instancabile del team di Scienze dell’Antichità guidato da Cosimo Pagliara. Dagli anni ‘80 in poi ne è emersa “una puntuale definizione della complessa sequenza di fasi di occupazione, distruzione e trasformazione planimetrica del sito, inquadrabili in un arco cronologico di circa 3.500 anni”. I primi graffiti risalgono all’Età protostorica, quando la Grotta Poesia, ubicata a sud della penisola, molto probabilmente veniva frequentata come luogo di culto. In origine la Piccola Poesia era asciutta, buia e si poteva raggiungere via terra, mentre allo stato attuale è stata interessata dall’invasione del mare che ne ha provocato anche il crollo della volta.
La più antica occupazione dell’insediamento di Roca risale all’Età del Bronzo (XVII sec. a.C.) e sin dalle origini presenta un’opera di fortificazione che proteggeva il sito. Fortificazioni che venivano fatte soprattutto in legno, prima dell’introduzione del materiale calcareo nell’Epoca del bronzo e sottoposte perciò a continui ridimensionamenti e ristrutturazioni per via anche degli attacchi e delle distruzioni a cui la città doveva far fronte.
Da porto di primaria importanza per il Mediterraneo, porta privilegiata per l’Oriente, nel Medioevo Roca si trasforma in una vera e propria fortezza a carattere militare, costruita secondo il modello delle “bastides” francesi, con una serie di isolati quadrangolari inseriti in una perfetta maglia ortogonale. Rilevante in questa età è in particolar modo l’uso della ceramica, tramite cui è possibile risalire al tessuto economico e sociale dell’epoca.
Alessio Quarta