Cerca

“Roca è stata per secoli uno dei porti più importanti del Mediterraneo”

L’evoluzione dell’antico borgo messapico nel racconto del professor Riccardo Guglielmino, che dal 1991 ne ha seguito di persona gli scavi 

 

Roca ha nel corso degli anni donato alla comunità salentina una serie infinita di reperti. E molto ancora potrà fornire come informazioni e materiali sugli insediamenti preistorici e storici che hanno solcato queste terre, un tempo porto internazionale, successivamente fortezza militare nel tardo Medioevo. Ne abbiamo parlato con Riccardo Guglielmino, professore associato di Archeologia e Antichità Egee presso la Facoltà di Lettere e Filosofia – Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, il quale dal 1991 segue da vicino i lavori di scavo nel sito archeologico di Roca Vecchia. 

Professor Guglielmino, a che livello sono attualmente i lavori in corso a Roca e quali sono le prospettive? 

I lavori attualmente in corso nel sito coinvolgono l’Università solo in parte, è un grosso intervento del Comune di Melendugno con un finanziamento regionale, finalizzato prevalentemente al restauro conservativo e alla valorizzazione del sito inteso in senso lato, visto che comprende tutta l’area intorno alla penisola di Roca. Le finalità sono di recuperare e rendere visibile la parte tardo-medievale di questo sito, anche perché questa è la fase che visivamente si può apprezzare meglio da parte del visitatore medio. Si tratta di reperti molto visibili, a differenza delle costruzioni preistoriche come le capanne, di cui non è rimasto in piedi nulla, se non qualche traccia sul terreno che al semplice cittadino possono non dire nulla. 

In che modo si può agevolare la fruizione da parte dei visitatori? 

Il visitatore medio non ha le conoscenze specifiche per comprendere quello che vede, perciò deve essere aiutato con delle ricostruzioni, magari con l’ausilio della realtà virtuale o della realtà aumentata, in questo senso si sta cercando di creare una app per smartphone e tablet. L’altra cosa su cui stiamo lavorando è la Grotta Poesia, che in realtà poi sono varie grotte collocate tra loro. Di queste, due sono le più note: la Poesia Grande e la Piccola, quest’ultima è la più importante dal punto di vista storico. Qui ci sono migliaia di iscrizioni di varie epoche, segni grafici che devono ancora essere identificati specie per quel che concerne le iscrizioni in lingua messapica perché al giorno d’oggi è sostanzialmente una lingua ancora sconosciuta. 

Stiamo parlando di un sito esistente da millenni e prezioso per il nostro territorio. 

Sì, è un monumento di grandissima importanza che può arricchire ulteriormente il patrimonio di questa terra. La vita del sito è lunghissima. Si va fondamentalmente dal XVI secolo a.C. al XIII secolo d.C. Il merito della scoperta è del professor Pagliara, il quale ha fatto un lavoro straordinario. Noi quello che stiamo cercando di fare oggi, tenendo conto dei pochi finanziamenti di cui disponiamo, sono le pubblicazioni scientifiche. I materiali e i reperti son tantissimi, perciò in primis cerchiamo di tenere informata la comunità scientifica e poi di divulgare le notizie a tutti con un linguaggio più comprensibile. In questi anni abbiamo cercato di coinvolgere prettamente le scolaresche perché una delle finalità del progetto è che soprattutto i giovani acquisiscano consapevolezza di quello che hanno tra le mani, rendendo questi scavi una sorta di strumento di rafforzamento del senso identitario.

Com’è cambiata Roca nel corso dei millenni?

Quello su cui noi abbiamo puntato l’attenzione è principalmente questo centro del Protostorico, Roca era all’epoca uno dei più importanti porti centrali del Mediterraneo. Lo possiamo paragonare a Micene. Nell’Età del bronzo era un centro importantissimo, uno scalo internazionale dove si incontravano genti di provenienza diversa. Noi, ad esempio, abbiamo ritrovato una quantità notevole di ceramiche di tipo miceneo e minoico. 

Uno snodo fondamentale nei traffici del Mediterraneo, dunque. 

Esatto. In questa epoca Roca può essere definita così come sono state definite più recentemente Brindisi o Otranto, porta d’Oriente verso Creta e la Grecia. Poi c’è stata, se non una decadenza, una diversa fisionomia di questo centro nell’Età del ferro, poco dopo l’Età imperiale. La nuova fase di vita è tardo medievale o post medievale, collocabile all’inizio del XIII secolo con Gualtieri VI di Brienne, conte di Lecce e duca di Atene. 

Cosa ci può dire, invece, dei graffiti?

I graffiti in senso stretto, segni e simboli, pensiamo che incomincino in fase avanzata del Neolitico, con disegni di mani e piedi. Le iscrizioni latine e messapiche, greche sono solo due o tre, sono del primo millennio. Quelle che si leggono sono diverse, ma sono inserite all’interno di una ragnatela perché praticamente scrivevano sulle iscrizioni precedenti. Una ragnatela inestricabile, attraverso la scansione laser speriamo di sbrogliare la matassa, ma questo è più compito da linguisti che da archeologi. Per la tipologia di frequentazione le iscrizioni latine leggibili sono una sorta di “contratto” con la divinità. 

È cambiata la percezione del visitatore in questi anni?

Sulla percezione del visitatore bisogna lavorare ancora molto perché se non si fa qualcosa per farlo comprendere non si ottiene nulla. L’area va poi pulita e mantenuta pulita. Attraverso la realtà virtuale e aumentata, attraverso le tecnologie informatiche, si può far comprendere e visualizzare, si può far vedere quello che non si vede più.  

 

Alessio Quarta