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Il Barbonaggio teatrale conquista Vancouver

Dal Salento al Canada, Ippolito Chiarello ci racconta dell’ultimo viaggio della sua “pratica” teatrale e dell’imminente momento collettivo del 17 dicembre a Lecce 

 

Passo dopo passo, chilometro dopo chilometro, macinando piazze, luoghi, volti e parole, il Barbonaggio teatrale di Ippolito Chiarello è volato fino a Vancouver per portare il suo ormai famoso palchetto e il cartello con scritto “Attore al lavoro” (in questo caso “Actor at work”) all’interno del progetto “To be determination”, curato dalla Simon Fraser University con la collaborazione del Centro Italiano di Cultura, la Fondazione Musagetes e il giornale canadese Megaphon. Tre settimane in cui l’attore e artista salentino è riuscito ancora una volta a travalicare con il suo talento e la sua passione i confini fisici e mentali dell’arte teatrale, plasmandola per il pubblico, e tra il pubblico, come ci ha spiegato vis-à-vis nel corso di quest’intervista. 

Il Barbonaggio teatrale è approdato dall’altra parte dell’Oceano. Com’è stata quest’esperienza in Canada? 

È stata straordinaria, anche se molto faticosa. È inutile negare che lavorare col teatro in un’altra lingua, cercando di far arrivare il tuo linguaggio artistico, non è stato facile. Già il fatto di essere arrivato a Vancouver mi sembrava un miracolo. L’idea era di portare la pratica del Barbonaggio all’interno della Comunità dei Nativi Americani e lavorare con loro e con i canadesi occidentali, cercando di creare un racconto collettivo che unisse le due anime proprio attraverso la pratica del Barbonaggio. E, infatti, vedere i Nativi americani sui palchetti è stata per me una grande emozione.

Prosegue quindi la naturale vocazione a mettersi in cammino di questo tuo progetto teatrale? 

Quella del Barbonaggio è una parabola importante che, partita dai nostri paesini del Salento, è arrivata dapprima in tutta Italia, poi in tutta Europa e adesso in Canada, continuando a portare in sé un’idea di teatro che è molto concreta, cioè quest’idea del racconto, ma soprattutto della relazione diretta in strada tra pubblico e artista. 

Perché in strada e non in altri luoghi? 

Non perché il teatro si debba fare in strada, ma per andare a intercettare quelle persone che non vanno a teatro e che quindi non lo vedono, creando così nuovo pubblico. 

Sabato 17 dicembre torna a Lecce la manifestazione “Artisti Barboni per un giorno” che è aperta a tutti, vero? 

Sì, l’invito è aperto ad attori, danzatori, musicisti, scrittori, pittori, scultori, artisti visivi, cioè a chiunque voglia dare il proprio contributo. Come ogni anno arriviamo a questo momento pubblico in cui facciamo una specie di punto della situazione. Si parlerà di lavoro e identità. Adesso la situazione in Italia è diventata ancora più complicata con la nuova legge e c’è difficoltà di circuitare perché non c’è mercato. E il 17 dicembre lavorerò con il pubblico non in maniera aulica, per esempio con un convegno, ma con un’azione concreta: mi metto in strada e incontro il pubblico, parlando come attore per far capire quanto sia importante l’arte. Nella mia postazione, infatti, c’è scritto proprio “Attore al lavoro”. 

E quale sarà il punto della situazione tracciato in questa sesta edizione? 

Saranno tre gli obiettivi principali: ristabilire una relazione con il pubblico, creando in particolare nuovi spettatori; far capire che l’arte è un lavoro; trovare nuovi modi di far vedere gli spettacoli e di far quindi circuitare. 

Se ti chiedessi di guardare indietro al 2008, a quando cioè è iniziato tutto, qual è il primo pensiero che ti balena in mente? 

Una vera follia, cioè io lavoravo e non avevo bisogno di andare per strada. La mia è nata come un’azione di politica alta, una forma di protesta attiva, che però è diventata anche un modo di fare spettacolo vendendo i pezzi alla gente. Il Barbonaggio è stato candidato al Premio Ubu, al Premio Rete Critica, è diventato un movimento, è diventato un gergo. Quindi una grande follia, una bellezza, un entusiasmo, che mi ha cambiato la vita comunque con la consapevolezza che le cose bisogna farle accadere e non invece aspettare che accadano. 

 

Claudia Mangione