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Un canyon nella rete?

Nei giorni scorsi il Tar di Lecce ha dato il via libera ai lavori di messa in sicurezza del Ciolo attraverso l’uso di reti metalliche per contenere le rocce, respingendo così il ricorso di Legambiente che può ancora contare sul sequestro del progetto disposto dalla Procura. Ma la scelta delle reti non convince e secondo il geologo Paolo Sansò l’unica soluzione è chiudere l’area alla balneazione, consentendo il transito solo agli escursionisti esperti 

 

Il Ciolo coperto dalle reti metalliche? Questo sembra essere il destino della bellissima area salentina, anche se la battaglia non è finita. Negli scorsi giorni, il Tar ha infatti respinto la richiesta di Legambiente Lecce, rappresentata dall’avvocato Tagliaferro, di bloccare in via cautelativa i lavori, in attesa del merito che dovrebbe essere fissato dopo l’estate. I ricorrenti lamentavano l’assenza di alcuni elementi fondamentali per l’attuazione del progetto, quali il Via (Valutazione d’impatto ambientale), una variante urbanistica e l’autorizzazione paesaggistica. Il Tribunale Amministrativo non ha però riscontrato queste mancanze e ha dato via libera ai lavori. 

Il progetto esecutivo per la messa in sicurezza della falesia del Ciolo risale al 23 febbraio 2010, finanziato con 500mila euro provenienti dai fondi PO FESR 2007-2013, a cui si è poi aggiunto un secondo progetto (rappresentante la continuazione del primo) che vanta un finanziamento di circa un milione di euro; è proprio quest’ultimo ad essere stato preso di mira da Legambiente. Gli interventi prevedono il disgaggio di circa sei blocchi di roccia e lasciarli poi in loco, per poi proseguire con una rete metallica in funi di acciaio ad elevata resistenza dall’alto verso il basso, che vanno dal discopub “Gibò” fino alla falesia frontale al ponte; la sommità e l’estremità laterale del telo metallico dovranno essere saldamente assicurati al terreno attraverso ancoraggi in barra rigida.

Legambiente Lecce però spera ancora in un arresto dei lavori. L’associazione ambientalista considera il progetto eccessivamente impattante e comunque non in grado di risolvere il problema, come tra l’altro contenuto negli atti dell’Autorità di Bacino, la quale spiega che l’intervento di gabbia mento non determinerà una declassificazione del rischio idrogeologico (fu proprio l’Autorità di Bacino a revisionare rischio idrogeologico dell’area, portandolo al livello PG3, cioè elevato rischio). Mentre i blocchi pericolanti potrebbero venire fatti scivolare a valle con delle cariche di dinamite, nel caso di una frana della montagna le reti sarebbero inutili perché verrebbero anch’esse coinvolte nel crollo.

Nonostante questo, il Tar ha stabilito che i lavori possono cominciare; è però vero che il sostituto procuratore Elsa Mignone aveva già disposto il sequestro del progetto. Un contrasto tra la magistratura amministrativa e quella penale che fa ancora sperare Legambiente Lecce.

 

La spada di Damocle 

 

Nella vicenda del braccio di ferro tra Amministrazione comunale di Gagliano del Capo e Legambiente sul futuro del Ciolo c’è un aspetto che ancora non convince: se è vero, come è vero, che è alto il rischio idrogeologico dell’area, impacchettare le rocce con le reti metalliche è proprio la soluzione giusta? Non esiste altra possibilità di mettere in sicurezza l’area e nello stesso tempo lasciare il più possibile inalterato il paesaggio, anche in considerazione che il Ciolo in passato si è rivelato un’ottima location dove girare film e telefilm? 

Per rispondere a queste domande abbiamo interpellato il geologo Paolo Sansò, docente di Geografia Fisica e Geomorfologia presso l’Università del Salento, il quale è convinto della pericolosità dell’area. “Il Ciolo è un luogo bellissimo e interessante, ma purtroppo pericoloso. Negli ultimi 10mila anni i processi carsici hanno lentamente ampliato la fitta rete di fratture presenti nel substrato roccioso, isolando lungo le pareti dei blocchi rocciosi di grosse dimensioni che sotto l’azione della gravità finiscono per cadere sul fondo. Non è un caso, infatti, che questo sia ingombro di blocchi rocciosi di grosse dimensioni. Un processo naturale, lento ma inesorabile -afferma Sansò-. La stretta gola del Ciolo è pericolosa come tanti altri luoghi suggestivi del Salento, la falesia di Porto Miggiano (a Santa Cesarea), quella di Sant’Andrea (a Melendugno), quella di Punta Ristola (a Castrignano del Capo)”. 

A questo si aggiunga anche l’attività dell’uomo. “Incuranti o incoscienti del pericolo, i nostri nonni hanno realizzato delle abitazioni al piede delle alte pareti rocciose come altrettanto incuranti o incoscienti del pericolo, numerosi turisti e persone locali frequentano da sempre la piccola insenatura del Ciolo. Tuttavia, bisogna notare che i fenomeni di crollo lungo le ripide pareti che delimitano il ‘canyon’ sono rari e probabilmente si sono verificati in prevalenza durante terremoti”.

Ma allora qual è la soluzione definitiva del problema sicurezza? Su questo Sansò non ha dubbi: “Le reti metalliche è una soluzione non del tutto indolore, per l’impegno economico che comporta (per il Ciolo le opere previste per la mitigazione del rischio ammontano a 1.500.000 euro) e poi perché la bellezza del paesaggio sarebbe deturpata. Senza contare che gli interventi previsti nel progetto non ridurranno a zero il rischio geologico: è praticamente impossibile coprire di reti tutti i versanti e si opererà solo sulle situazioni ritenute di maggiore instabilità. Il rischio idraulico sul fondo della gola rimarrà uguale e in caso di alluvione o maremoto i danni, date le caratteristiche dell’area, sarebbero elevati. A questo si aggiungano i rischi legati alla presenza del ponte stradale da cui possono essere lanciati oggetti o pezzi di automobile. La soluzione migliore? Lasciare che la natura faccia il suo corso -sottolinea Sansò-, chiudendo però l’area della gola alla balneazione e consentendo il transito ai soli escursionisti, regolarmente tesserati con le rispettive associazioni sportive, che desiderino fare trekking o arrampicate. Per loro, sicuramente più esperti dei turisti comuni, sarebbe possibile stipulare un’assicurazione con l’Amministrazione di Cagliano del Capo. Allo stesso tempo -conclude Sansò- si potrebbe predisporre per i turisti un’area balneabile nella parte anteriore della baia, sotto il bar-ristorante, dove la roccia è più bassa e più stabile”. 

 

Alessandro Chizzini