Calo degli utenti, profitti sempre più bassi e Legge di Stabilità alla base della scelta di privatizzare la società. Nella speranza di un effettivo rilancio del settore
Dopo anni di discussioni e di bilanci in rosso, la società Terme Spa, appartenente per il 51% alla Regione Puglia e al 49% al Comune di Santa Cesarea, verrà privatizzata. Una conclusione che per certi versi può definirsi storica, ma non del tutto inaspettata: su questa scelta è infatti pesata come un macigno la Legge di Stabilità, che ha prorogato al prossimo 30 aprile l’obbligo rivolto alle pubbliche amministrazioni di dismettere le proprie quote detenute all’interno di società partecipate. Come ha ricordato anche il presidente delle Terme Spa, Salvatore Serra, durante un incontro pubblico tenutosi nelle scorse settimane, se la società dovesse rimanere pubblica, Regione e Stato non disporrebbero più dei fondi necessari per garantire il normale svolgimento delle attività.
L’ente di viale Capruzzi ha quindi deciso di vendere in blocco il 51% del capitale di sua proprietà e, paradossalmente, il principale acquirente avrebbe potuto essere proprio il Comune di Santa Cesarea; la Legge di Stabilità, infatti, prevede precisamente che le pubbliche amministrazioni debbano rinunciare alle quote possedute in società le cui attività non siano strettamente legate alle finalità istituzionali o al perseguimento degli interesse generali.
Se questo può valere per la Regione Puglia, l’opposto è per il Comune costiero, che ha nelle Terme una delle sue principali risorse e attività, come indicato anche all’interno del proprio statuto comunale. Inoltre, il Titolo V dello statuto della società termale assegna proprio al Comune il diritto di prelazione. L’Amministrazione di Santa Cesarea, però, come tantissime altre piccole e medie realtà pubbliche nazionali, non si trova in condizioni economico-finanziarie idonee a sostenere una spesa di circa 16milioni di euro; a tanto ammonta infatti il valore del 51% delle quote possedute dalla Regione, mentre è di circa 14 milioni la partecipazione del Comune all’interno della società, che quindi vanta un valore di 30 milioni di euro.
“Impossibilitati ad acquisire la maggioranza delle azioni, non possiamo fare altro che vendere -ha spiegato negli scorsi giorni il sindaco di Santa Cesarea Terme, Pasquale Bleve-. Questa potrebbe in realtà rappresentare l’occasione definitiva per il rilancio dell’azienda e l’opportunità per le casse comunali di avere un po’di respiro”. Da parte di tutti gli enti coinvolti, inoltre, c’è la promessa di tutelare i dipendenti dell’azienda e di garantire la permanenza del loro posto di lavoro.
La privatizzazione è vista quindi come un’opportunità, ad eccezione di Daniele Cretì e Sergio Bono, rappresentanti la minoranza consiliare, che temono una ‘svendita’ dell’azienda: “Ne va del nostro territorio e della nostra storia. Non possiamo più farci imporre le scelte della Regione, dobbiamo essere noi a dettare le regole”.
Sette anni di declino: ecco tutti i numeri della crisi di Terme Spa
Sono numerosi gli elementi che descrivono il pessimo stato di salute delle Terme di Santa Cesarea, una situazione che negli ultimi sette anni è diventata critica. Uno dei principali indicatori è rappresentato dal progressivo calo delle prestazioni erogate. Dalle 509mila del 2006 è poi cominciato un graduale decremento: 475mila nel 2007, 447mila nel 2008, 401mila nel 2009, 399mila nel 2010, 371mila nel 2011, fino alle 346mila del 2012.
Questi sono i dati riferiti alle classiche cure convenzionate, come bagni e fanghi, ma lo stesso trend interessa anche le cure della linea del benessere (la cosiddetta “linea blu”) e la linea dei messaggi, che rappresentano la produzione ad alto valore aggiunto, servizi non convenzionati, ma inseriti nel libero mercato. In questo settore, il calo registrato rispetto al 2006 tocca il 44%: le erogazioni della “linea blu” sono passate dalle 7mila del 2006 alle 5.500 del 2012, mentre nello stesso arco temporale i servizi della linea dei messaggi sono scese da 6.500 a 4mila.
Questi dati vanno di pari passo con il calo delle presenze presso l’azienda termale: è stato infatti calcolato che da 250mila turisti annuali, il numero sia sceso fino a 180mila. A tutto ciò, fa da contorno le costanti perdite di bilancio: si tratta di passivi dovuti alla ricapitalizzazione del patrimonio societario (con gli aumenti degli ammortamenti), ma che hanno toccato quote elevate come gli 811mila euro del 2011 e le 468mila del 2012. La speranza, adesso, è che la privatizzazione possa ribaltare questa preoccupante crisi.
Alessandro Chizzini