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“Quello era un dolmen, ma non è censito”. Parola della Soprintendenza

IL MISTERO DI SANTA BARBARA / 2

Un primo sopralluogo effettuato nei giorni scorsi in località Santa Barbara a Giurdignano ha consentito al responsabile della Soprintendenza ai Beni architettonici per la provincia di Lecce di riconoscere la natura dolmenica del monumento 
 
La storia del presunto dolmen in località Santa Barbara a Giurdignano, pubblicata su Belpaese del 16 giugno scorso, ha attirato l’attenzione di molti, lasciando alcuni interrogativi che a cui si sta tentando di dare risposta. Tutto è nato a seguito della denuncia ai carabinieri di Otranto da parte delle guide ambientali escursionistiche di “Avanguardie”, che hanno documentato fotograficamente negli anni il degrado e la definitiva distruzione della struttura in tutto e per tutto simile ad un dolmen. Il piccolo monumento, situato in agro di Giurdignano e mai censito ufficialmente, era stato già segnalato dall’architetto Pino De Nuzzo di Casarano sin dal 1999 ma i dilemmi posti in seguito alla sua scomparsa sono apparsi sin da subito evidenti: era realmente un dolmen o una “patacca”? 
A sciogliere il quesito ci ha provato il responsabile della Soprintendenza ai Beni architettonici per la provincia di Lecce, Salvatore Bianco, a cui abbiamo rivolto alcune domande. 
Dottor Bianco, può darci qualche anticipazione sulla natura del monumento in area Santa Brbara?
Recandomi sul posto, da quel che si è potuto vedere dai resti i blocchi che lo componevano erano effettivamente parte di un dolmen. Di fatto, quel monumento non era censito e doveva essere segnalato per poterne approfondire la natura. Come potesse essere all’origine non possiamo dirlo con esattezza, ma dal sopralluogo è emersa anche la traccia di un “dromos”, un corridoio all’esterno che doveva condurre ad esso. 
Come si muove in questi casi la Soprintendenza? 
Questo episodio è abbastanza grave anche perché è stata fatta una denuncia. Per il momento attendiamo l’esito delle indagini. 
Quale sarebbe la soluzione auspicabile per affrontare queste situazioni?
Sarebbe opportuno creare una sinergia collaborativa tra Ministero, Soprintendenza e Amministrazioni locali, cercando di far fronte al costante problema delle risorse. Per evitare che i beni censiti cadano nel degrado e le nuove emergenze vengano cancellate per sempre, i Comuni dovrebbero “mappare” tutti i beni culturali, ambientali e naturalistici presenti sul territorio, avvalendosi di archeologi. Conoscere il proprio territorio, è un primo passo per poterlo tutelare. 
Oltre alla tutela del “vecchio”, c’e’ la questione delle nuove scoperte. Come è possibile rendergli dignità scientifica? 
In brevissimo tempo sono arrivate numerose segnalazioni da parte di associazioni, appassionati e studiosi locali, importanti miniere giacché conoscono bene il territorio. Il lavoro della Soprintendenza in merito, è minuzioso: si stanno recuperando coordinate geografiche, informazioni catastali, che comune per comune andranno valutate. I ritrovamenti nuovi sono fondamentali, anche perché oltre ad essi, spesso si scoprono ulteriori, inaspettate testimonianze del passato.
Lei si è da poco insediato nella Soprintendenza di Lecce. Che situazione ha trovato? 
La situazione che sta emergendo non è delle migliori. Stiamo recuperando tutta la bibliografia dagli inizi del secolo scorso al fine di compilare un database con tutte le notizie del megalitismo leccese. Da un primo confronto con la situazione attuale, lo stato in cui versano i beni in oggetto è abbastanza critico. Inoltre si sta provvedendo a effettuare tutte le ricognizioni catastali per l’imposizione di vincoli laddove non ci sono. 
 
M. Maddalena Bitonti