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I numeri dell’emergenza e del business

Ecco i dati degli arrivi e delle partenze dei migranti sul territorio pugliese. E poi quelli del business umanitario, affari da capogiro e pochi risultati
 
Il primo contingente di 49 migranti è arrivato in Puglia giovedì 15 Aprile 2011, proveniente dal C.A.R.A. di Santa Maria Capua Vetere. Tante speranze e poche prospettive, per chi aveva varcato il mare su una barca di fortuna, originari in gran parte della Nigeria, del Ghana, del Mali e della Somalia. Sono stati ospitati soprattutto a Carovigno, Castiglione d’Otranto (nella foto), Salve, Massafra, Castellaneta e Palagiano, per rimanere nelle province salentine. 
È in questi centri che si hanno le strutture in cui sono concentrati più di 30 immigrati per ognuna e fino a un massimo di 137, come nel caso dell’Hotel Jonico di Castellaneta. Si tratta di complessi ricettivi, 44 in tutto, ma non mancano le sedi della Caritas, di cooperative socio sanitarie, di circoli Arci. È tra questi che è stata distribuita la presenza di 1.581 migranti, cifra che si è attestata, a partire da settembre, sulle 1.373 unità, perché 208 di loro hanno lasciato il territorio pugliese. 195 sono i richiedenti del permesso transitorio, tutti gli altri, 1.386, cercano protezione internazionale. Che, però, nel frattempo non per tutti è arrivata. 
Ed è qui che si innesta il problema. Il limbo burocratico in cui i migranti sono costretti si è trasformato, effettivamente, in un pantano. “Finora non potevano lavorare, non potevano far nulla. Dopo un anno siamo in grado di iniziare a ragionare su questo”, dice Egidio Carità, responsabile della Protezione Civile. Non è una considerazione da poco. Perché di tutta questa storia c’è anche il rovescio della medaglia: i costi. Per l’accoglienza, alle strutture vengono corrisposti tra i 32 e i 36 euro al giorno per ogni ospite, a seconda del numero dei presenti. E questo per assicurare vitto e alloggio e, in teoria, anche il vestiario adeguato per ogni stagione. A ciò si aggiungono 7 euro al giorno per ogni uomo, per le spese legate ai “servizi necessari” (corsi di lingua, mediazione, etc.) che “dovrebbero” essere erogati dagli Enti di Tutela. Inoltre, sono riconosciuti 2,5euro di pocket money giornaliero per ogni migrante. 
Il tutto pagato con un aumento di 3 cent al litro sul prezzo della benzina. Soldi pubblici ben spesi, se servono a creare davvero integrazione. Il dubbio però rimane. Se alla fine di quasi due anni, la gran parte di loro sarà espulsa o rimarrà sul territorio, sapendo a malapena parlare un italiano stentato, a cosa saranno serviti, se non ad alimentare un business dal velo umanitario?
 
(T.C.)