Dopo l’avvistamento della piattaforma petrolifera al largo di Santa Cesarea Terme, scatta “l’allarme trivellazioni” su tutta la costa. Ma i problemi vengono da lontano e qualcuno sembra essersi perso le puntate precedenti della complessa vicenda
In cerca di petrolio nelle acque dell’Adriatico e lungo la costa salentina. Il mare pugliese fa gola alle compagnie petrolifere internazionali, che hanno puntato il mirino in una fetta di costa che da Monopoli scende fino al Capo di Leuca. Ma, come spesso accade da queste parti, il grido “Al lupo! Al lupo!” arriva improvviso, con l’allarmismo dell’ultima ora che contribuisce a fare molta confusione e a mescolare le carte in tavola. È bastata, infatti, una foto, circolata sugli organi di stampa, scattata da un cittadino di Santa Cesarea che ha immortalato una piattaforma petrolifera in transito, per far scattare “l’emergenza trivellazioni” nel Salento.
Il guaio, invece, è quello di arrivarci sempre un attimo dopo, nonostante da oltre un anno la Nothern Petroleum, società petrolifera, abbia messo gli occhi sulla Puglia e sul Salento per ricercare zone di estrazione dell’oro nero nell’Adriatico, peraltro facendo sapere, per bocca del direttore responsabile, Derek Musgrove, che l’esplorazione del mare sia “una priorità”. Del resto, che si cercasse il petrolio in Puglia non era neanche questa una novità, visto che l’irlandese Petroceltic, altra realtà petrolifera, aveva posto le proprie attenzioni per l’attività estrattiva sulle Isole Tremiti. Nessun mistero, dunque, ma semmai cattiva informazione, visto che gli esperti della materia e, in particolare, la docente italo americana Maria Rita D’Orsogna (docente alla California State University a Northridge), che ha fatto della lotta per le tutela delle coste una battaglia mediatica attraverso blog e pubblicazioni varie, avevano avvertito del “pericolo petrolio” nella Puglia e nel Salento.
L’avvisaglia era arrivata il 28 luglio scorso, quando proprio la Nothern Petroleum aveva ottenuto dal Ministero per l’Ambiente l’autorizzazione a procedere in due concessioni nel Salento e nel barese, chiamate Giove e Rovesti, dando inizio alle proprie ispezioni sismiche ad ottobre 2011, preliminari alla perforazione di pozzi esplorativi, allo scopo di estrarre l’oro nero per decenni, a partire dal 2012. Sarebbero in tutto nove le concessioni in giacenza presso il Ministero, con un’area interessata che si estende per oltre 6mila chilometri quadrati, a circa 25 chilometri da riva, da Bari fino a Santa Maria di Leuca.
Il permesso ottenuto dalla società è quello di eseguire ispezioni sismiche con la tecnica dell’air-gun (una sorta di esplosione di aria compressa, decisamente impattante per l’ecosistema marino, che permette di stimare i giacimenti delle riserve di petrolio, grazie ai segnali riflessi) nell’area di Monopoli-Ostuni-Brindisi in due proposti campi di petrolio (Giove e Rovesti).
Qual è allora la situazione nella provincia di Lecce? Le richieste di ispezioni sono in giacenza, presso il Ministero, in uno stadio meno avanzato. Al momento, dunque, nessuna operazione può essere compiuta sul territorio salentino, ma le attenzioni della multinazionale petrolifera ci sono e servirebbe subito una risposta concreta da parte dei Comuni a rischio, della provincia e della Regione, inviando al Ministero osservazioni di contrarietà come previsto dalle norme europee e secondo le quali per progetti di così forte impatto ambientale l’opinione del pubblico e di enti locali risulta vincolante.
Ma i sondaggi sismici sono pericolosi per l’ecosistema
I sondaggi sismici sono chiaramente pericolosi: il rischio concreto è rappresentato dalle perdite di petrolio e dal rilascio di materiale inquinante nelle acque marine, con gravi danni per l’ecosistema marino e per l’uomo, con la possibilità di disastrosi scoppi ed incidenti. Stando inoltre a quanto racconta attraverso i suo blog Maria Rita D’Orsogna, la spesa, oltre che dal punto di vista ambientale, non sembra valere neanche l’impresa sotto l’aspetto economico: prendendo come metro di paragone i campi Rovesti e Giove, che rappresentano gli epicentri delle ispezioni sismiche future, si ritiene che da essi si possano ricavare circa 53 milioni di barili di petrolio di bassa qualità; in Italia, il consumo giornaliero sarebbe di circa 1 milione e mezzo di barili, per cui il totale dell’oro nero estratto sarebbe sufficiente al paese per poco più di un mese.
“In più -sostiene la docente- nulla vieta alla Northern Petroleum di vendere il suo petrolio sul libero mercato. La legislazione italiana prevede l’interdizione alle trivelle a 9 chilometri da riva, mentre nei pressi di aree protette il limite arriva a 22 chilometri dalla costa. Per contro, su tutto il litorale di California e Florida il limite è rispettivamente di 160 e 200 chilometri, per proteggere turismo e pesca”.
Mauro Bortone