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Un rifiuto nucleare

Dopo la ripresa del programma nucleare si ritorna a parlare di siti di stoccaggio dei rifiuti radioattivi e la selezione avviata dalla Sogin ne avrebbe individuati nel nostro Paese ben 52 particolarmente adatti allo scopo. Anche il nostro Salento, con Casarano e Otranto, risulterebbe essere tra le zone candidate ad ospitare i depositi di scorie nucleari, ma Regione Puglia e amministratori locali assicurano: “Il nostro territorio non  diventerà un ricettacolo nazionale delle scorie radioattive” 
 
In Italia il nucleare è stato bandito di fatto a partire dal 1987 dopo lo svolgimento dei quesiti referendari sul tema. A distanza di oltre vent’anni si ritorna a parlare della possibilità di riprendere a costruire centrali di nuova generazione, a causa della crisi economica e della troppa dipendenza energetica da fonti estere. Il governo Berlusconi con la legge n. 99/2009 ha detto chiaramente che il nucleare sarà una delle strade maestre da perseguire proprio per affrancare l’Italia e renderla autonoma sul piano economico. Non ultimo il ministro Giulio Tremonti che non più di dieci giorni fa, a margine di un intervento al terzo Forum dei giovani imprenditori della Confcommercio riunitisi a Venezia, ha dichiarato che “la dipendenza energetica dell’Italia è parte del problema strutturale. Noi siamo un’economia che importa tutta l’energia e la importa pagando prezzi estremamente elevati. Le altre economie con cui competiamo hanno il nucleare, noi no. Se avessimo il nucleare avremmo un Pil diverso e probabilmente maggiore”. 
Un discorso di non facile condivisione viste le implicazioni di carattere sociale che il nuovo corso energetico potrebbe avere. Con il paradosso che le centrali nucleari di prima e seconda generazione degli anni Ottanta sono ancora in attesa di smantellamento: in varie zone d’Italia infatti sono stoccati circa 60mila metri cubi di rifiuti radioattivi e più di 298,5 tonnellate di combustibile irraggiato provenienti dalle 4 centrali nucleari dismesse, cioè Latina, Garigliano, Trino e Caorso che da sole hanno prodotto circa 55mila metri cubi di scorie. 
Responsabile dell’opera di smantellamento e bonifica è la Sogin, ditta incaricata della custodia degli impianti nucleari e obbligata per il 2024 a riconsegnare i siti ‘senza vincoli radiologici’. Il paradosso si completa se si pensa che nel frattempo il Governo ha dato il compito alla stessa Sogin di fare una selezione dei territori adatti ad ospitare i rifiuti nucleari. Al momento vengono trattati e “vetrificati” in Inghilterra dalla Nuclear Decommissioning Authority, l’ente di Stato preposto allo smantellamento degli impianti nucleari. La data del 23 settembre voluta dal governo per l’individuazione di massima dei siti è stata fonte di forti prese di posizione dal parte di politici, degli amministratori e dei cittadini. Cosa è successo? La stessa Sogin ha consegnato una relazione con le possibili collocazioni del deposito per i residui atomici che prevedrebbe un centro ricerche e un parco tecnologico con due stoccaggi di rifiuti nucleari, cioè un deposito per le scorie a breve e media radioattività e uno per i residui a lunga attività. I criteri adottati per l’individuazione dei siti si sono basati sull’eliminazione di tutte le aree potenzialmente non rispondenti a determinati parametri come ad esempio le zone troppo abitate, quelle con rischi sismici e geologici, le montagne e le isole. 
La mappa che viene fuori (nell’immagine a destra) non è stata rilasciata in maniera ufficiale perché secretata, ma si basa su congetture derivate appunto dai parametri adottati e che si rifanno alle indicazioni dell’Aiea, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, e dovrebbe comprendere soprattutto il Lazio settentrionale e la Toscana meridionale, le Murge, il confine tra Puglia e Basilicata, il Monferrato e la zona appenninica, tutta la fascia delle colline emiliane e romagnole e alcune aree della Bassa lombarda tra Cremona e Mantova. 
Nel Salento le località candidate dovrebbero essere Casarano e Otranto in provincia di Lecce, Avetrana a Taranto e Mesagne nella zona di Brindisi. Certo, al momento la relazione della Sogin è solo indicativa perché mancano alcuni tasselli fondamentali a partire dalla figura del ministro dello Sviluppo economico, ma anche l’Agenzia per la Sicurezza del Nucleare. Da ultimo prima di procedere dovrà essere realizzata la procedura di valutazione ambientale strategica (Vas) Per evitare di ripetere gli errori fatti dallo stesso Governo nel 2003 con Scanzano Jonico, l’idea è quella di mettere in competizione i territori che vorranno ospitare gli impianti. Il parco tecnologico e il deposito produrranno occupazione di alta qualità, a partire dalla costruzione visto che si prevede di impiegare almeno 500 persone per 10 anni ma anche perché la località diverrà un importante centro per la ricerca.