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Vittime dell’Eternit: oltre al danno, la beffa

Per i salentini che hanno lavorato nelle fabbriche di Eternit in molti casi non c’è la consapevolezza di aver contratto malattie, a causa dei lunghi tempi evoluzione delle stesse. Ma il paradosso è che non esiste neanche il diritto al risarcimento 
 
I salentini che partirono per la Svizzera in cerca di un lavoro per sfamare le proprie famiglie, mettendo a rischio la propria salute a contatto con l’amianto nelle produzioni di Eternit possono contare da qualche anno solo sull’aiuto di pochi ma ostinati volontari. Uno di questi è il primario di Pneumologia dell’ospedale di Gagliano del Capo, Wilson Castellano, che ha iniziato da anni uno screening generale per individuare nei pazienti i primi sintomi delle malattie collegate all’esposizione alle fibre di amianto. Patologie come l’asbestosi, che determina nel tempo un’insufficienza respiratoria gravissima, e il mesotelioma pleurico-peritoneale, un tumore maligno che può colpire le membrane sierose di rivestimento dei polmoni (pleura) e degli organi addominali (peritoneo), un tumore cosiddetto “sentinella”, in quanto con la sua presenza segnala l’esistenza di una fonte inquinante. C’è il cancro polmonare, strettamente correlato con la quantità totale di asbesto inalata e con l’abitudine al fumo di sigaretta, i tumori del tratto gastro-intestinale e della laringe e infine le placche pleuriche, cioè gli ispessimenti benigni del tessuto connettivo della pleura, più o meno estesi, talora calcificati. 
Il lavoro del dottor Castellano e della sua equipe è finalizzato all’individuazione dei lavoratori che all’epoca (parliamo principalmente degli anni del boom economico) furono esposti all’inquinamento da amianto. “Vogliamo capire le dimensioni del fenomeno -dichiara Castellano- cercando di rintracciare i dipendenti delle dite che lavorarono in Svizzera e che in molti casi non si sono accorti di quanto accadeva alla loro salute. Le patologie infatti hanno una manifestazione di lungo corso, cioè oltre 15-20 anni e in qualche caso gli stessi pazienti le collegano con difficoltà alla contaminazione da Eternit”. Sono stati attivati degli ambulatori specifici dove i lavoratori vengono chiamati a visita per controlli da ripetere ogni due anni. 
Chi si batte da tempo per un riconoscimento di un indennizzo a livello normativo è invece Biagio Mastria, uno dei referenti dell’associazione “Emigranti nel Mondo” di Corsano: “Da Veglie a Leuca i lavoratori che hanno lavorato alla Eternit svizzera ammontano a poco più di un migliaio: ne abbiamo contattati 960, la maggior parte dei quali concentrati tra i comuni di Corsano (151), Tiggiano (130), Tricase (76), Andrano (77), Uggiano La Chiesa (48) e Alessano (46) ma in molti casi si tratta di persone decedute. Le azioni legali a tutela dei diritti delle vittime dell’amianto solo ora muovono i primi passi in Svizzera. Colpa della potenza economica della Eternit che al momento della sottoscrizione del contratto imponeva al lavoratore anche delle clausole assolutamente vessatorie. Una di queste dichiarava che il datore di lavoro non era responsabile di eventuali malattie scaturite proprio dall’impiego in fabbrica e questo nonostante si sapesse già dal 1939 che l’amianto aveva una deriva cancerogena”. 
La legislazione svizzera attraverso la Suva (equivalente all’Inail italiano) dovrebbe riconoscere agli emigrati un risarcimento economico. La situazione invece è più complessa, poiché l’Istituto di previdenza ammette la patologia professionale solo dopo che la malattia è in uno stato avanzato. Il problema è proprio nei lunghi tempi di latenza delle malattie (15-20 anni) che vanifica in maniera definitiva l’azione delle vittime dell’amianto per far valere i propri diritti. “Anche il governo italiano potrebbe fare qualcosa -conclude Mastria-: c’è un provvedimento del 2007 che stanzia oltre 30 milioni di euro per i lavoratori che abbiano contratto malattie professionali, ma è bloccato da tempo”.