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Visione di infinito nella musica di Admir Shkurtaj

Con Mesimér, l’album “piano solo” prodotto e pubblicato da AnimaMundi, il noto strumentista e compositore di origine albanese dà corpo al suo profondo e articolato pensiero musicale 

 

Tradizione. È questo il leitmotiv del nuovo lavoro discografico di Admir Shkurtaj che, giunto in Salento nel 1991 allo scoccare del periodo di nuova fioritura della musica tradizionale, ne è divenuto oggi uno tra i più attenti conoscitori. Tradizione che in Mesimèr veste di sonorità contemporanee, balkan e jazz d’avanguardia, donandole fattezze inattese. Come ci racconta in quest’intervista. 

Mesimér. Cosa significa questo titolo? 

Mesimèr è la punta di una montagna che si trova dall’altra parte della sponda di Otranto, in provincia di Valona, dove sono nato. Dalla cima di Mesimèr si vede il canale di Otranto. È il punto di vista più alto per osservare come lo è la tradizione salentina, perciò è un’analogia tra il vedere geografico e quello artistico. 

Nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo è ravvisabile, a ben riflettere, un frammento di Dna comune che emerge nel linguaggio musicale. A tuo avviso ci sono punti di contatto tra la nostra musica tradizionale e quella del tuo paese? 

Non mi sembra che ci siano affinità, tranne un po’ nei canti corali. Purtroppo questo mare non ha solo unito, ma ha anche diviso e l’Albania ha sempre guardato piuttosto all’area Balcanica. Si tratta di modi diversi di intendere la tradizione. La pizzica, come ho letto, era circoscritta a quelle famiglie che facevano la cura del rito, in Albania invece la musica tradizionale era molto più diffusa, perché c’era solo quella. È stata presente in modo costante e non ha subito nessuna interruzione, come invece in Occidente dove dagli anni ’50 fino al boom economico si tagliano i ponti con la tradizione. In Albania il Comunismo l’ha nutrita e incoraggiata, anche se per comodità politiche, cioè per isolare dal resto del mondo occidentale. 

Tu affermi che in Albania vedete da sempre l’infinito nella tradizione. Mi spieghi? 

La tradizione albanese, e in genere quella balcanica, è talmente ricca di sonorità e di sfumature che la ritrovi ovunque, si mimetizza nello stridolìo della porta arrugginita, nelle gocce dell’acqua sulle superfici metalliche, ecc. L’ambito dei suoni tocca così tante sfere che si può paragonare addirittura alla grande musica del paesaggio sonoro, che è infinito. 

Come nasce Mesimér? 

Questo album non era nelle mie intenzioni, l’ha voluto fortemente Giuseppe Conoci di AnimaMundi, avendomi sentito suonare al pianoforte una pizzica, in cui giocavo con sonorità contemporanee, classiche e jazz. Mesimér è nato di getto in studio. Ho costruito sul momento delle storie, ad esempio in Pizzica di San Vito è come se ci fossero 5 personaggi che si relazionano l’un l’altro finchè non prende il sopravvento quello che rappresenta la pizzica. Sono mie speculazioni visionarie su cellule del linguaggio della pizzica. 

Qui instauri una particolare fisicità con lo strumento. In Selfo, infatti, prepari il pianoforte con la copia di un giornale, in Kali nifta con un portacandele. Che valore le attribuisci? 

Il pianoforte è preparato con degli oggetti sulla cordiera, che suonati in quel punto fanno come se ci fosse un altro strumento, cambiando il suono. Con questi oggetti, che hanno solo un valore sonoro, il pianoforte diventa a momenti un mandolino, a momenti una chitarra o una percussione. In un cd “solo piano” hai poche opportunità, perciò per ogni brano ho cercato di costruire una storia diversa giocando proprio sulla diversità delle sonorità. 

Tu sei stato il diretto portatore in Salento delle ritmiche balkan, con cui tra l’altro colori i brani dell’album. Come le hai trasfuse nelle melodie di musica popolare? 

Sì, è una parte del mio linguaggio ed è inevitabile che ad un certo punto arriva e ti chiede di uscire. L’importante è farlo bene, con proposito, come ho inserito elementi balcanici in Kali nifta, senza cioè che sembri una forzatura o un insert arbitrario. Tutto il contrario di quello che ha cercato di fare Bregović quest’estate. 

Cosa ti ha dato il Salento? 

Sicuramente tantissimo. Le mie ragioni del venire in Italia non erano radicate nello svoltare economicamente la mia vita, erano legate ad un’Italia del sapere. L’Albania era molto opprimente dal punto di vista del linguaggio musicale, qui ho trovato la libertà di poter esprimere le mie idee e anche l’incoraggiamento a portarle avanti. Ho trovato l’apertura e la disponibilità delle persone ad accogliere a livello umano in tutti i sensi.  

Claudia Mangione