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Uomini, non caporali

Era il 2011 quando presso la Masseria Boncuri a Nardò esplodeva la rabbia dei braccianti extracomunitari contro le drammatiche condizioni di vita e di lavoro a cui erano costretti da caporali e imprenditori senza scrupoli. A distanza di quattro anni il Salento grida ad alta voce il suo “no” al caporalato e mentre nasce la “Rete del lavoro agricolo di qualità” il prossimo 20 settembre in piazza Salandra a Nardò tanti musicisti e artisti, coordinati dal cantautore Mino De Santis, daranno vita ad un evento senza precedenti 

 

È un vero e proprio bollettino di guerra il bilancio dei morti (13 in totale) nei campi che hanno caratterizzato un’estate in cui le temperature altissime hanno messo a dura prova fisici già stremati dalla fatica. Una fatica quotidiana fatta di tante ore di lavoro sotto al sole (in media 10 ore in serra, 10/15 nei magazzini di confezionamento) in cambio di pochi euro. È una storia vecchia, quello dello sfruttamento dei braccianti agricoli, che quest’estate è riemersa in tutta la sua drammaticità dopo gli eventi e le inchieste giudiziarie degli anni scorsi, facendo aprire gli occhi a amministratori, associazioni di categoria e società civile su una realtà che è sempre esistita e che attualmente coinvolge circa 400mila lavoratori nel nostro Paese. 

Anche la Puglia ha pagato il suo tributo con quattro morti nelle campagne: il tunisino Zakaria Ben Hassine a Polignano a Mare, Paola Clemente ad Andria, Maria Lemmi a Ginosa e il sudanese Mohammed Abdullah a Nardò. In particolare quest’ultimo ha riportato alla mente le vicende drammatiche di quattro anni fa nello stesso territorio quando esplose la rabbia dei braccianti extracomunitari accampati in condizioni drammatiche presso la Masseria Boncuri, episodi che si sono ripetuti anche negli anni successivi e che hanno portato alla ribalta delle cronache nazionali il territorio neretino come epicentro del caporalato in Puglia, al pari della Murgia foggiana. Sì, perché dietro lo sfruttamento dei braccianti agricoli c’è sempre l’intermediazione di criminali che selezionano la manodopera giornaliera  per farla lavorare abusivamente ed illegalmente al servizio di imprenditori compiacenti. Un mercato che fa gola a molti e che vede come ‘vittime predestinate’ soprattutto gli extracomunitari e le donne italiane. In particolare queste ultime risultano essere, solo in Puglia, 40mila italiane e 18mila straniere, in grado di generare ciascuna un guadagno di 10 euro al loro rispettivo caporale (dati Istat e Flai-Cgil). 

Se si pensa che secondo la Direzione Nazionale Antimafia in Italia il giro d’affari del business delle agromafie si aggira intorno ai 12,5 miliardi di euro all’anno si comprende bene perché il ministro alle Politiche Agricole Maurizio Martina in questi giorni ha dichiarato come sia necessario un inasprimento delle pene contro il caporalato, sottolineando come spesso le norme che sanzionano il caporalato sono di difficile applicazione. Occorre ricordare infatti che il caporalato è stato riconosciuto come reato penale solo nell’agosto 2011 proprio in seguito ai fatti di Nardò ed è punibile con l’arresto da 5 a 8 anni (prima era prevista solo una sanzione amministrativa) ma, fanno sapere dalla Cgil, “non sempre si riesce a provarlo, anche a causa delle difficoltà che incontrano le vittime nel denunciare. Serve un reale percorso di protezione per le vittime, italiane e straniere”. 

 

Da Boncuri a “Sabr”: la storia delle agromafie a Nardò 

 

Tutto cominciò nell’agosto 2011, quando due esponenti della Cgil di Lecce, Antonella Cazzato e Antonio Gagliardi denunciarono le drammatiche condizioni di vita a cui erano costretti i braccianti extracomunitari accampati presso la Masseria Boncuri di Nardò. Le loro rivendicazioni trovarono nel camerunense Yvan Sagnet il loro simbolo, tant’è lo stesso denunciò le vessazioni subite anche sul palco della Notte della Taranta a Melpignano: 3 euro di guadagno per ogni cassa di pomodori e angurie riempite, 15 euro invece per i caporali, accusati di obbligare i lavoratori a spendere 5 euro per il trasporto verso il luogo di lavoro, distante poco più di un chilometro; 4 euro per un panino e più di 1 euro per una bottiglietta d’acqua (la retribuzione finale scendeva ampiamente sotto i 20 euro giornalieri per circa 17 ore di lavoro). Contratti irregolari, minacce e drammatiche condizioni igienico-sanitarie completavano il quadro.

Il coraggio di Sagnet, che poi venne imitato da altri suoi compagni, spalancò le porte di una realtà terribile e che non apparteneva ad epoche o luoghi lontani, ma era drammaticamente attuale e che viveva e si alimentava nel nostro territorio. Si venne così a conoscenza dell’operazione “Sabr” (dal nome di uno dei caporali inquisiti), partita già nel 2009 e condotta dai Ros dei Carabinieri, che puntò le indagini su alcuni imprenditori e proprietari terrieri conniventi. Le indagini portarono all’emissione di 22 misure cautelari su richiesta dal procuratore Cataldo Motta e del sostituto procuratore Elsa Valeria Mignone

Intanto il processo “Sabr” prosegue, anche in seguito alla morte del 47enne bracciante di origine sudanese Mohammed Abdullah lo scorso luglio nelle campagne tra Nardò e Avetrana, ma resta tuttora un’incognita il ruolo del Comune di Nardò: il sindaco Marcello Risi aveva finora rifiutato di costituirsi parte civile, arrivando a minimizzare la presenza del caporalato nel territorio neretino, ma dopo la morte del sudanese sembra orientato a cambiare idea e a schierarsi contro l’azienda per cui lavorava la vittima. Lo stesso primo cittadino ha fatto sapere che la Masseria Boncuri, luogo del famoso sciopero dei lavoratori extracomunitari contro lo sfruttamento nell’estate 2011, è in fase di ristrutturazione nell’ambito di un progetto finanziato dal Ministero dell’Interno. “Darà ospitalità -scrive Risi- a 16 richiedenti asilo e sarà sede di servizi per i lavoratori migranti”. 

 

Alessandro Chizzini