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Una sanità da codice rosso

Debiti, sprechi e inefficienze: la condizione critica del Servizio Sanitario Nazionale richiede tagli e sacrifici, come nella migliore tradizione. Con la Puglia -terza nella classifica delle regioni a rischio bancarotta dopo Lazio e Campania- obbligata a sanare un deficit di quasi 421 milioni di euro 
 
La sanità in Italia è sempre più malata. Tra disorganizzazione e piani di rientro ben lungi dall’essere applicati secondo le intese e gli accordi, con un presente disastrato ed un futuro che non promette nulla di buono. Il quadro clinico del settore che molti definiscono “carrozzone”, insomma, è allarmante. 
L’assistenza sanitaria in almeno 8 regioni d’Italia potrebbe andare a farsi benedire. Un esempio? Nel Lazio, la regione più indebitata tra quelle che presentano conti in rosso, solo nello scorso mese di giugno sono stati chiusi ben 8 ospedali. Il che significa non solo meno posti-ricovero a disposizione dei cittadini, ma anche centinaia e centinaia di addetti tra medici, paramedici e personale di servizio destinati a lottare (se va bene) per difendere il proprio posto di lavoro. Il Nord opulento e sornione in tema di bilanci sui costi della sanità vola tra pareggi e parsimonie; il Sud -quasi tutto il Sud- stenta tra sofferenze e sperperi che, una volta tanto, danno ragione a chi considera il Mezzogiorno incapace di gestirsi e gestire le necessità. L’ennesimo motivo per domandarsi come mai l’Italia continua a viaggiare a due velocità.
L’ancora di salvataggio in materia si chiama “Piano di rientro”. Ma la sottigliezza lessicale non nasconde la realtà che c’è sotto, ovvero che il programma potrebbe trasformarsi nel breve termine in un boomerang dagli effetti dirompenti. In Puglia, ancora per esempio, il riordino ospedaliero, che di quel famoso “piano di rientro” dei quasi 421 milioni di euro di deficit è figlio legittimo con tanto di paternità politica attribuita al governo Vendola, ha stravolto la geografia della sanità regionale. Un disegno che prevede l’accorpamento di molti servizi, la chiusura o la riconversione di alcuni ospedali, l’introduzione dei ticket sui medicinali e sulle prestazioni, il contenimento della spesa farmaceutica. E poi ancora il taglio delle convenzioni con i privati, la centralizzazione dei bandi per l’acquisto di beni e servizi e, soprattutto, il blocco del turn over del personale. 
Per fortuna che il Governo ha riconosciuto alla Puglia (come anche alla Calabria) lo sblocco del 10% del budget complessivo di spesa. Una boccata d’ossigeno ad un sistema ancora chissà per quanto altro tempo destinato alla sofferenza.
 
La mappa del deficit della sanità italiana
 
7 regioni su 21 si sono viste appiccicare il bollino dei conti in rosso in tema di costi della sanità. Piemonte, Abruzzo, Lazio, Molise, Campania, Puglia e Sicilia, non avendo rispettato gli adempimenti organizzativi e gestionali per far fronte alle spese di amministrazione del settore hanno chiesto allo Stato di sottoscrivere un Piano di rientro per annullare i milioni di euro di deficit finora accumulato.
 In totale le 7 regioni sono “sotto” per quasi 2 miliardi e mezzo di euro. La palma di più spendacciona tocca al Lazio (con un deficit di 1 miliardo e 139 milioni), seguita dalla Campania con 696 milioni e 400mila euro. Sul terzo gradino del podio sale la Puglia, ferma -si fa per dire- a 420 milioni e 825mila euro di disavanzo. Molto più indietro, ma comunque con saldi negativi rilevanti, sono l’Abruzzo (62 milioni e 905mila euro), il Piemonte (con una stima per il 2011 di 60 milioni di sbilancio), la Sicilia (56 milioni e 182mila euro) ed il Molise, settimo della lista nera con uno deficit di settore pari a 49 milioni e 300mila euro. 
Da sottolineare che in sofferenza c’è anche la Calabria, regione per la quale però mancano i riscontri numerici riferiti al 2011. E ciò evidenzia maggiormente come in tema di costi-sanità il Mezzogiorno d’Italia, Basilicata esclusa, sia terribilmente in sofferenza. 
 
Daniele Greco