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Una battaglia per “Renata Fonte”

Con una lettera indirizzata al sindaco Perrone, Maria Luisa Toto, presidentessa del Centro Antiviolenza, critica le scelte di Palazzo Carafa che impediscono alle volontarie di svolgere correttamente il proprio lavoro 

 

A volte si ha la sensazione di urlare in una stanza affollata senza che nessuno riesca ad ascoltarci. A volte si vogliono urlare i propri disagi a chi si spera possa accoglierli e quanto meno considerarli. Si parla dell’urlo disperato delle donne vittime di violenza che, nonostante siano riuscite a condividere il proprio tormento con l’auspicio di superarlo, si ritrovano dinanzi amministratori privi di sensibilità. 

Raccogliamo lo sgomento di Maria Luisa Toto, presidentessa del Centro Antiviolenza “Renata Fonte”, sino a poco fa sito presso l’ex Conservatorio di Sant’Anna nel centro storico leccese. La Toto, in una lettera indirizzata al primo cittadino nonché presidente dell’Ambito Territoriale Sociale di Lecce Paolo Perrone, ha voluto riassumere i meriti e gli ostacoli del Centro. “Il Centro Antiviolenza Renata Fonte nasce a Lecce nel 1998 -ricorda Maria Luisa Toto-. Nel 2004 firma con il Comune di Lecce una Convenzione con la quale viene assegnata la sede presso l’ex Conservatorio di Sant’Anna, tale convenzione viene rinnovata annualmente. Le attività svolte dalle socie e dalle operatrici (psicologhe, avvocatesse, assistenti sociali, educatrici) sono svolte a titolo gratuito. Nel novembre 2012 l’Amministrazione comunale decide di non rinnovare la convenzione; si intraprende una dura battaglia con sciopero della fame risolvendo così il problema. Proprio in quei giorni il Centro Antiviolenza veniva insignito del Premio Minerva, primo riconoscimento italiano dedicato alle donne sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica”. 

I guai continuano nell’aprile 2015 quando il Comune, senza consultare le operatrici del Centro e senza alcuna motivazione esplicita, delibera la riduzione degli spazi a disposizione. “Il 29 settembre scorso venivamo a conoscenza della delibera n. 274 attraverso un telegramma che preannunciava per il 4 ottobre lo sgombero coatto di parte degli ambienti della Sede assegnata -continua la presidentessa-. Il 4 ottobre alle 11.30, mentre il Centro svolgeva le sue attività e alla presenza di alcune utenti, si presentavano i pubblici ufficiali per dare seguito allo sgombero coatto. I funzionari, in quella sede, dichiaravano di non aver preso visione della Pec con la quale si richiedeva la revisione della delibera n. 274 del 3 aprile 2015 e la riassegnazione degli ambienti. Le donne occupano il locale del Centro e gli ufficiali sospendono lo sgombero”. 

Non si è lasciata attendere l’esigua risposta di Paolo Perrone il quale afferma che “il Comune da sempre riserva al Centro la massima attenzione, che però non autorizza la responsabile a evitare il rispetto delle regole”. Ma nella risposta di Perrone non vi è alcuna proposta alternativa, nessuna soluzione al disagio delle operatrici di questa preziosa istituzione. Ci si auspica che il problema si risolva al più presto, senza rischiare di divenire complici di un crimine contro la dignità e la libertà delle donne. 

 

Gian Piero Personè