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Un patrimonio non rinnovabile

Dopo la cementificazione selvaggia, ciò che rimane della civiltà messapica nelle campagne del Salento si trova oggi a dover affrontare un avversario nuovo: la green economy, con i suoi parchi eolici e fotovoltaici diffusi  
 
La difficoltà di ricostruire la storia del Salento parte innanzitutto dalla scarsezza di documentazione che abbiamo sulla storia antica fino al Medioevo dovuta principalmente alla mano distruttrice dell’uomo, il quale per far posto a ciò che è moderno, spinto dal “furor economicus”, distrugge ciò che è antico trovando pretesti e giustificazioni oppure sminuendo il valore della storia e delle testimonianze dell’antichità. 
Ciò vale per la storia più antica del Salento sulla quale non abbiamo quasi nessuna fonte, salvo quelle  di altri popoli che sono venuti in contatto con i salentini, come quelle contenute nelle testimonianze di Floro, Diodoro Siculo, Erodoto o Tito Livio. Sorprende il fatto che la civiltà messapica, che pur aveva raggiunto un livello molto alto di civilizzazione, non abbia lasciato delle testimonianze scritte circa la propria storia, la propria poesia, la propria musica e la propria religione, salvo iscrizioni esaugurali o funerarie. Ciò può avere una spiegazione nella “damnatio memoriae” a cui i Romani condannarono i Messapi dopo le guerre puniche, durante le quali i Messapi, per salvare la propria esistenza dalle truppe vittoriose di Annibale contro le quali si erano schierati nella battaglia di Canne, avevano tradito la “fides” romana e si erano resi colpevoli del più grave reato contemplato dallo “ius gentium” romano, quello di aver mancato la parola data, e la pena prevista per chi contravvenisse a questo patto solenne non era solo la distruzione delle case e dei villaggi e la messa in schiavitù delle popolazioni, ma era soprattutto l’uccisione del ceto sacerdotale e di buona parte della classe dirigente, che potevano trasmettere l’identità di un popolo e rendersi, quindi, pericolosi propagandisti di una futura rinascita, con la conseguente distruzione di tutti i libri ed i testi concernenti quel popolo.
Quel che sopravvisse alla furia romana venne inglobato nelle “civitates” del II e III secolo, che pur fiorirono nel Salento ed ebbero la loro massima espressione architettonica nel periodo bizantino (periodo sul quale varrà la pena fare un’amplissima riflessione), venne man mano inglobato, per vitali ragioni di spazio e di difesa, nelle strutture successive. Di quello straordinario periodo è fortunatamente sopravvissuta una sufficiente mole documentale, scritta in greco, e l’idiosincrasia perfino degli storici locali per questa lingua ha fatto sì che molti di essi siano andati persi nel corso dei secoli, anche in ragione del forte contrasto tra Chiesa latina e Chiesa greca. Delle carte “civili” hanno pensato a fare un bel falò le bombe dei liberatori angloamericani, che, in luogo di bombardare le caserme, gli arsenali e le colonne tedesche, hanno ben pensato di fare un rogo della storia del Regno di Napoli, distruggendo le preziosissime pergamene dell’archivio di Stato, crimine contro l’umanità che fa il paio col bombardamento terroristico di Montecassino e che fa seriamente dubitare circa le capacità strategiche dei generali dell’aviazione americana. 
Tutto ciò porterebbe lo storico ad un senso di frustrazione e di scoramento, dovendo ricercare in fonti di secondo grado, ricopiature di documenti (sulla cui aderenza all’originale si possono fondare non pochi dubbi), congetture, riferimenti, ignorando forse che molte informazioni su quegli anni ce le può fornire la ricerca archeologica. 
Proprio la ricerca archeologica può far luce sui tesori che sono sepolti sotto i nostri piedi, le fondamenta delle case e dei templi messapici distrutti, le laure basiliane, che molto spesso erano i luoghi di culto dei Messapi stessi e delle popolazioni salentine preindoeuropee, ma anche e soprattutto le necropoli, quelle tombe messapiche che costituivano un vero e proprio incubo per i proprietari ed i costruttori dagli anni ’50 fino ai nostri giorni, i quali, quando ne ritrovavano una negli scavi per la nuova espansione urbana, ricoprivano tutto, cementificavano o peggio ancora passavano il caterpillar senza farsi troppi scrupoli. 
Lì c’è ancora un tesoro, una sapienza e delle conoscenze che costituiscono parole che quelle persone morte da tanti secoli possono ancora raccontare a noi, indegni loro eredi, che stiamo scialacquando le bellezze di questo territorio unico ed antichissimo.
Alle devastazioni di secoli, di scorrerie, di incuria e di folli dell’uomo sono sopravvissute le campagne, ultima Thule per la speranza di scoprire nuove testimonianze del passato. In questi anni le campagne salentine sono oggetto di una profonda trasformazione, dovuta principalmente alla green economy, che le ha trasformate in campi fotovoltaici o ne ha innalzato nel cuore, spesso in zone di importanza paesaggistica assoluta, i nuovi mulini a vento dell’eolico, contro i quali i moderni Don Chisciotte armano il loro spirito da antichi paladini. Ed i Sancho Panza, come sempre, rammentano con la saggezza di un popolo che non ha perso ancora il buon senso, che esiste la possibilità di coniugare le nuove forme di energia pulita con la tutela del paesaggio e della cultura, senza quei dolorosi ed imponenti movimenti terra che costituiscono un  vero e proprio dolore fisico per chi ama la propria terra. Perché, è bene saperlo, la Sopraintendenza di Taranto dispone di poco personale e di pochissime risorse economiche persino per garantire l’apertura dei musei, figuriamoci per vigilare su cosa potrebbe emergere da questi scavi fatti per necessità economica.
Nuove opportunità di lavoro e di sviluppo per tutto il territorio possono essere colte nelle professionalità che coadiuvano la Sovraintendenza nel controllo del territorio e nella gestione dell’immenso patrimonio monumentale ed archeologico di cui dispone la Puglia, pensando a Vaste, Rudiae e Roca Vecchia, per riferirsi al solo Salento. Una sfida che i nostri progenitori ci lanciano ed alla quale per nessun motivo possiamo sottrarci, dal momento che per quanto riguarda la cultura e la salvaguardia della bellezza siamo responsabili dinanzi alle generazioni che ci seguiranno.
 
Vincenzo Scarpello