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Un mare di opportunità

Parte dall’Enea il progetto GE.RI.N. per l’utilizzo dei resti di Posidonia accumulati sulle spiagge durante l’inverno e il loro reimpianto in biostuoie, senza dimenticare la possibilità di utilizzo di tale materiale come fertilizzante. Un progetto che potrebbe approdare presto anche in Salento 

 

Trasformare in risorsa i residui lasciati sulle spiagge dalla Posidonia oceanica, pianta tipica del Mar Mediterraneo, e tutelarla. È questa l’ambizione del progetto GE.RI.N. dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), che si propone di trasformare le fibre della pianta marina in biostuoie, utili per la realizzazione di camminamenti, sentieri o ancora coperture, in grado di tutelare le rocce dall’erosione. Ma anche per favorire la ricolonizzazione del fondale marino nei punti in cui la prateria di Posidonia risulti particolarmente danneggiata. Quest’ultimo uso è stato sperimentato nelle Isole Egadi, nell’ambito del programma “Eco-innovazione Sicilia”, ma presenta interessanti risvolti di carattere generale applicabili ovunque l’alga sia di casa. Come le nostre spiagge, dove a seguito delle mareggiate la Posidonia si accumula in grandi quantità, rendendo necessario un intervento di pulizia per consentire la fruizione degli stessi lidi. 

Abbiamo chiesto a Gian Pietro Di Sansebastiano, ricercatore e docente di Botanica generale all’Università del Salento, di illustrarci l’applicabilità del progetto al nostro territorio. 

Di Sansebastiano, pensa che questo progetto possa essere applicabile al nostro territorio?

È un ottimo progetto perché non trascura un aspetto molto importante, cioè che i residui delle foglie di Posidonia oceanica sono utili al mantenimento della salute delle nostre spiagge. Queste masse scure che invadono le coste d’inverno, le proteggono dalle mareggiate. La rimozione fuori tempo o addirittura la rimozione tout-court, espone la spiaggia all’erosione. Questo progetto è particolarmente interessante perché oltre a realizzare manufatti sfruttando la resistenza della fibra, propone di utilizzare le stuoie ottenute per andare a consolidare il fondale e renderlo più recettivo per nuove praterie.

Perché è importante?

La diffusione di questa pianta si sta restringendo perché non la si conosce ancora abbastanza ed è molto delicata: subisce tutti gli effetti negativi della presenza umana. Reti a strascico e ormeggi hanno un effetto terribile sulle praterie di Posidonia. Ogni volta che un’ancora viene gettata, si tirano via metri di prateria che ci mettono anni per riformarsi, perché crescono su una base che è perenne. Quando l’ancora tira via questa base, non ricresce più. 

E quindi possibile usare la Posidonia per proteggere le nostre coste più colpite dall’erosione? 

Le coste più colpite dall’erosione spesso lo sono perché sono state pulite troppo. Normalmente si crea un gradino di alga, che forma degli ammassi; questa barriera di fatto protegge la spiaggia dalle mareggiate e la nuova sabbia che arriva con le onde si ferma sulle alghe, accumulandosi. Se queste alghe vengono rimosse servono degli interventi sostitutivi. Togliere le alghe per manipolarle e poi reimpiantarle sembra un dispendio di energie inutile dal punto di vista ecologico, però è chiaro che nelle spiagge frequentate dai turisti l’alga in putrefazione possa dare fastidio. Sostituirla con dei manufatti che però sono fatti con la stessa fibra delle alghe è un’ottima idea perché non si va a inserire nell’ambiente un elemento estraneo, come la plastica: gli si dà la forma più consona al luogo turistico ma di fatto è  un materiale già previsto dalla natura. 

Normalmente come vengono smaltite le alghe?

Credo che vengano semplicemente gettate in discarica come rifiuto organico. Ma le alghe possono essere un ottimo fertilizzante. Per chi ha voglia di prendersi la briga di farlo è un ottimo compost. Anziché buttarlo in discarica potrebbe essere un utilizzato come concime: arricchisce il terreno di tantissimi sali minerali. Però nel nostro caso un utilizzo diverso da quello naturale andrebbe a pesare sull’equilibrio delle spiaggie. È importante che il progetto preveda un utilizzo di questa fibra proprio per svolgere la sua funzione naturale: proteggere i lidi e i fondali.

 

Dai banquette alle biostuoie: il ciclo “green” della Posidonia

 

Il progetto Gestione Risorse Naturali (GE.RI.N.) dell’Enea fa parte del più vasto programma “Eco-innovazione Sicilia” finanziato dal Miur. Protagonista del progetto la Posidonia oceanica: pianta marina tipica del Mediterraneo che durante i mesi invernali deposita sulle coste una massa di foglie in decomposizione, chiamata banquette. Due gli obiettivi del progetto: riutilizzare la biomassa vegetale accumulata sulle spiagge trasformandola da problema in risorsa, e tutelare la salute delle praterie subacque, i posidonieti.

La prateria di Posidonia costituisce l’ecosistema più complesso e importante del Mar Mediterraneo, ospitando al suo interno diversi organismi animali e vegetali e fungendo da bioindicatore dello stato di salute delle acque costiere. L’idea  alla base del progetto è quella di trasformare i residui in biostuoie (nella foto), strutture a materasso costituite da fibre naturali come cocco, canapa e juta, imbottite con i resti della Posidonia rimossa dagli arenili, attraverso l’utilizzo esclusivo di manodopera locale. Le biostuoie  possono essere usate per realizzare camminamenti, coperture eco compatibili o sentieri e possono proteggere le rocce sottostanti dall’erosione. 

Enea, insieme all’Area Marina Protetta delle Isole Egadi, ha sperimentato un uso alternativo delle biostuoie per favorire la ricolonizzazione del fondale da parte della Posidonia nel tratto antistante Cala Azzurra (Favignana), immergendo le strutture alla profondità di dieci metri e ancorandole con blocchi di calcarenite, provenienti dalle cave dell’isola e quindi compatibili con la sabbia del fondo marino.

Il progetto GE.RI.N. si è classificato al terzo posto per l’edizione 2013 del Premio internazionale “Green Coast Award” che premia ogni anno le località costiere più green d’Europa.

 

Valentina Zammarano