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Disabili assistiti a casa da lavoratori

Se un lavoratore assiste un familiare disabile

L’art. 33, comma 5, L. n. 104 del 1992 dispone una tutela rafforzata per il lavoratore che assiste con continuità un familiare invalido stabilendo che lo stesso ha diritto a scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere. Cosa accade se, invece, il datore di lavoro decide di trasferire il lavoratore presso una sede lavorativa lontana dal luogo in cui presta la propria assistenza al parente disabile? In tale circostanza confluiscono due diritti: da una parte quello di disciplina generale del datore di lavoro che, ai sensi dell’art. 2013 c.c., nell’ambito dello svolgimento del relativo rapporto negoziale ha la facoltà di indirizzare e disporre al meglio l’utilizzo del “fattore lavoro”, ciò attraverso l’esercizio di iniziative unilaterali quale quella sostanziantesi nel potere di trasferimento; dall’altra parte quello di disciplina speciale stabilito dall’art 33, comma 5, L. n. 104 del 1992 che tutela il lavoratore che versa in tale situazione di necessità concedendogli la possibilità di scegliere di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede. Sulla questione è intervenuta recentemente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33429 dell’11.11.2022, la quale ha accolto il ricorso di un lavoratore stabilendo che “la tutela rafforzata cui ha diritto il lavoratore che assista con continuità un familiare invalido ex art. 33, comma 5, L. n. 104 del 1992 – ai cui sensi “Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede” – opera e prevale, con riguardo al profilo inerente al diritto a non essere trasferito, in riferimento alle ordinarie esigenze tecniche, organizzative, produttive aziendali (art. 2013 cod. civ.), con il limite della soppressione del posto o di altre situazioni di fatto insuscettibili di essere diversamente soddisfatte. Pertanto, la sentenza sottolinea che l’interesse della persona disabile, ponendosi come limite esterno del potere datoriale di trasferimento (quale disciplinato in via generale dall’art. 2103 c.c.), prevale sulle ordinarie esigenze produttive e organizzative del datore di lavoro. In un’altra recentissima pronuncia si è andati anche oltre. Infatti, con l’ordinanza n. 25836 dell’1.09.2022, la Cassazione afferma che il diritto del lavoratore che assiste un familiare disabile a non essere trasferito ad altra sede, senza il proprio consenso, sussiste anche se la persona assistita non si trova in condizione di handicap grave, ma necessita di effettivo aiuto. Quello che rileva, dunque, non è se l’handicap sia o meno grave, bensì se sussista una effettiva necessità di assistenza.
Avv. Gabriele Toma
Avvocato civilista e giuslavorista in Maglie

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