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Sanità, Frisullo resta in carcere. E l’inchiesta si allarga

Oltre all’ex vicepresidente della Regione Puglia, arrestato con l’accusa di “associazione a delinquere, corruzione e turbativa d’asta”, sono indagati anche medici e dipendenti dell’Asl leccese, oltre segretario organizzativo regionale del Pd Michele Mazzarano

 
La notizia dell’arresto dell’ex vicepresidente della Giunta regionale pugliese Sandro Frisullo (nella foto) ha fatto il giro delle redazioni (e dell’intera nazione) in un lampo. Un po’ per l’ovvio tam tam mediatico stimolato da un nome in “prima fila”, un po’ perché ad una settimana dal voto (ai tempi del provvedimento restrittivo che ha colpito il politico di Castrignano de’ Greci) la news era ed è da prima pagina.
L’accusa degli inquirenti baresi che hanno intestato il fascicolo con il nome dell’esponente del partito democratico recita “associazione per delinquere, corruzione e turbativa d’asta”. Accuse che i pm hanno mosso nei confronti di Frisullo dopo le deposizioni di Gianpaolo Tarantini, imprenditore nel mondo delle protesi sanitarie che già aveva fatto parlare di sé l’Italia intera per la storia delle escort fatte transitare nei palazzi bene della politica romana. Proprio Tarantini aveva rivelato ai pm Ciro Angelillis, Eugenia Pontassuglia e Giuseppe Scelsi dell’esistenza di un giro di escort e denaro in cambio dell’aiuto che Frisullo gli avrebbe offerto per estendere il suo potere contrattuale anche all’intero dell’Asl leccese.
Oltre che a Frisullo, in carcere a Bari dalla scorsa settimana, il provvedimento della magistratura barese è stato indirizzato anche ad altre tre persone fra medici e dipendenti dell’Asl leccese, che a vario titolo sarebbero stati concorrenti con l’ex vicepresidente di Puglia nella vicenda. Si tratta dell’ex direttore amministrativo dell’Asl Lecce Vincenzo Valente, anch’egli in carcere su disposizione del gip barese Sergio Di Paola, e di Roberto Andrioli, funzionario dell’area gestione Patrimonio della Asl ed Antonio Montinaro, primario del reparto di Neurochirurgia dell’azienda ospedaliera “Vito Fazzi” di Lecce, entrambi ai domiciliari. Nei loro confronti, come nei confronti dell’ex vicepresidente della Regione, la procura ritiene di aver raccolto gravi indizi che si basano non solo sulle dichiarazioni di Gianpaolo Tarantini, ma anche su intercettazioni telefoniche, su un’ampia documentazione acquisita presso Asl e ospedali e sull’audizione di numerose persone informate dei fatti.
Dai verbali delle deposizioni di Giampaolo Tarantini emerge che Frisullo avrebbe ricevuto dallo stesso imprenditore barese somme di denaro ed un vitalizio mensile per quasi un anno, oltre alla “disponibilità” di alcune escort che avrebbe incontrato l’uomo politico in più occasioni, altri regali in natura e capi di abbigliamento. Ma quello di Frisullo non sarebbe l’unico nome “politico” coinvolto nella vicenda. A spuntare fuori, sempre secondo le dichiarazioni fornite da Tarantini ai pm baresi, ci sarebbe un’altra figura di spicco del Pd pugliese, il tarantino Michele Mazzarano, segretario organizzativo regionale del partito di Bersani nonché candidato consigliere regionale alle consultazioni elettorali del 28 e 29 marzo per il rinnovo dell’assise di viale Capruzzi, che ha ritirato la sua candidatura, dimettendosi nel contempo dall’incarico ricoperto nel suo partito.
Tanto Frisullo quanto Mazzarano hanno respinto le accuse. L’esponente politico tarantino ha negato “nel modo più fermo e risoluto” ogni addebito, aggiungendo di essere “convinto che la magistratura vaglierà con le dovute cautele”. Ed ha poi spiegato i motivi delle sue decisioni, ovvero  le dimissioni ed il ritiro della candidatura. Tali atti nono stati intrapresi “tanto per salvaguardare la mia persona, estranea a qualsivoglia sistema tangentizio -ha dichiarato Mazzarano-, quanto per contribuire a mantenere indenne da ogni sospetto e da ogni accusa il mio partito e l’intero centrosinistra”.
In carcere invece è stato ascoltato Sandro Frisullo. L’ex assessore regionale alle Attività produttive, assistito dal legale Michele Laforgia, ha risposto a tutte le domande rivoltegli dal gip Sergio Di Paola. Ha respinto ogni accusa e dichiarato, secondo quanto ha affermato dal suo legale, di non aver mai ricevuto soldi da Tarantini. E proprio l’avvocato Laforgia ha sottolineato l’inesistenza di qualsiasi esigenza cautelare nei confronti del suo assistito, al punto da richiedere alla magistratura barese la pubblicazione integrale delle conversazioni intercettate perché le stesse, ha affermato il legale, “sono la prova del suo allontanamento dalla politica attiva e dalle sue cariche istituzionali”.
 
Daniele Greco