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Salento ultimo approdo

Sono stati principalmente tre i fenomeni migratori che hanno interessato in passato il nostro territorio, il più consistente dei quali è stato quello albanese negli anni Novanta. Ma quello che sta avvenendo in questi giorni è totalmente differente e le conseguenze sono difficilmente prevedibili 

 

Ancora una volta il Salento si sta confrontando con il fenomeno delle migrazioni, in proporzioni ben superiori rispetto a quanto si sarebbe potuto teorizzare negli scenari più drammatici. Ed in un’opinione pubblica che si divide tra quanti vogliono perseguire la politica dell’accoglienza ad oltranza, i cui limiti sociali ed economici sono evidentissimi, e quanti invece vorrebbero un altrettanto improponibile blocco, con affondamento dei barconi, continuano ad alzarsi, inutili, gli appelli all’Europa ed alla comunità internazionale di non lasciare da sola l’Italia in un contesto così problematico. 

Questa terra, crocevia nel Mediterraneo di popolazioni migranti fin dalla preistoria, essendo approdo e zona di passaggio, pur avendo recepito gli influssi dei popoli coi quali veniva a contatto, ha sempre mantenuto un nucleo ben definito della propria identità, ma per quanto le scienze storiche abbiano visto nel corso dei secoli il fenomeno migratorio nelle sue determinanti tipiche mai esso si era verificato in una modalità di tale proporzione e con tale concentrazione spazio-temporale. 

La storia insegna che quasi tutte le migrazioni si sono verificate nel lungo periodo, in progressive ondate e con un lento assorbimento nelle terre di destinazione. Quando esse invece si sono verificate nel breve periodo, hanno assunto i connotati di veri e propri esodi ed hanno avuto sempre una componente di violenza e di emergenza, risolta da episodi bellici. Le scienze strategiche e la geopolitica insegnano che una delle cause tipiche scatenanti delle guerre nel mondo antico era il surplus di popolazione e la carenza di materie prime in madrepatria per poter sopperire alle necessità alimentari e di sussistenza. 

E tali concause sono da rilevarsi anche nel contemporaneo fenomeno dei profughi, che scappano da zone di guerra. Ma ci si chiede cosa potrebbe accadere quando un sistema socio-economico è ormai al collasso e non riesce più a sostenere le attuali condizioni di minima convivenza della massa di profughi con la popolazione autoctona, figuriamoci se dovesse venirsi a confrontare con uno scenario in cui una massa immensa di persone giungesse nel territorio nazionale e non potesse raggiungere le proprie destinazioni nei paesi dell’Europa del Nord.

Il Salento vide principalmente tre fenomeni migratori di importante rilevanza: quello indoeuropeo che portò l’insediamento dei pelasgi prima e dei messapi poi; quello normanno-svevo, di proporzioni molto più ridotte ma che ebbe conseguenze rilevanti nella stessa declinazione dell’identità salentina; infine quello albanese degli anni Novanta dello scorso secolo, cui si aggiunge la sempre più consistente presenza di comunità africane “stornate” dal resto del territorio italiano, ove le possibilità di integrazione nel tessuto socio-economico sono ormai sature.

Se nel primo caso il Salento fu un territorio praticamente vergine, nel quale fondare un’inculturazione, nel secondo caso vi fu un mutamento profondo nell’identità di questa terra, i cui risultati poterono essere percepiti soltanto alcuni secoli dopo, con la sempre più progressiva scomparsa della grecità dalla Terra d’Otranto ed il suo confinamento, per lo meno linguistico, nei comuni della Grecìa Salentina. Nel terzo caso, invece, abbiamo avuto un esodo di massa, progressivamente assorbito dalla Puglia e dall’Italia, tanto che la comunità albanese oggi è fra le meglio integrate e la più “italiana” fra le presenze straniere in Italia.

Purtroppo la prospettiva dei prossimi anni comprende tutte le determinanti delle tre migrazioni che coinvolsero nella storia il Salento. Una terra economicamente impoverita da una crisi sistemica, che stenta a riprendersi, una popolazione culturalmente azzerata, che scansa il concetto identitario di massa, erroneamente bollandolo come retaggio di società “superate” dalla modernità, la presenza di una grossa massa di individui, la cui sorte non può essere abbandonata al caso, a patto di non accettarne i rischi pericolosissimi in ordine alla sicurezza delle comunità. Del resto quando i fenomeni migratori non sono controllati, incanalati, gestiti con efficienza, hanno come conseguenza la tendenza ad un soppiantamento violento delle comunità umane. Si pensi, a livello solo ipotetico, a quanto avvenne nel Far West, dove la corsa all’oro, e l’immigrazione selvaggia, violenta ed incontrollata degli europei, provocò lo sterminio dei pellirossa, il loro concentramento in riserve. Come si pensi alla colonizzazione araba del Nord Africa negli anni della Jihad dei primi secoli dell’era maomettana, in cui civiltà di cultura latina e greca vennero in pochissimo tempo assorbiti ed annientati nel sistema islamico. 

Va detto, senza falsi intendimenti e con un crudo realismo, che il fattore culturale, oltre a quello della debolezza del sistema accogliente e della massa di profughi, è quello più pericoloso, in quanto assistiamo ad una prevalenza di una immigrazione di cultura islamica, appartenente non certo all’Islam italiano, un faro di civiltà per l’Islam di tutto il mondo, erede e continuatore della scuola interpretativa del Corano che fu di Avicenna e di Averroè, e che vede il Sacro Testo dell’Islam, come un prodotto umano, ma ispirato da Dio. La massa islamica che verrà appartiene invece alla scuola “increazionista”, che ritiene che il Corano sia immodificabile in quanto sia esso stesso Dio.

È abbastanza chiaro che occorrerà uno sforzo ulteriore per far superare a questi nostri prossimi vicini di casa il medioevo culturale in cui sono stati trascinati dai fratelli mussulmani nella loro casa, ed impedire, dall’altro lato, che la propaganda fondamentalista possa essere introdotta ed esportata anche sul territorio leccese. Fenomeni legati da un sottile filo rosso, da individuare, da comprendere, da svolgere secondo l’insegnamento antico nel nostro spirito d’accoglienza. Da cogliere con realismo, con serietà e senza populismi di verso opposto, in quanto la prospettiva in cui ci si troverà ad operare sarà inevitabilmente decisiva per i cambiamenti epocali, cui la nostra civiltà si sta preparando. 

 

Vincenzo Scarpello