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Requiem Eternit

“Ho i polmoni che scoppiano di amianto e senza ossigeno liquido per 15 ore al giorno non respiro più”.
Questa la drammatica testimonianza di un operaio salentino che ha lavorato presso una fabbrica di Eternit in Svizzera. Attualmente sono circa 960 gli ex emigranti della nostra provincia (e molti sono già deceduti) che rischiano il manifestarsi di gravi patologie tumorali.
Il tutto senza avere diritto ad alcun indennizzo: oltre al danno, la beffa
 
È un killer paziente l’amianto. Le fibre del materiale lavorano lentamente all’interno dei polmoni, fino a causare problemi anche a distanza di venti, venticinque anni. Una delle fonti privilegiate da cui possono arrivare le minuscole particelle di amianto è l’Eternit. Brevettato nel 1901 dall’austriaco Ludwig Hatschek il cemento-amianto viene chiamato Eternit dal latino aeternitas, eternità. Già un anno dopo Alois Steinmann acquista la licenza per la produzione e apre nel 1903 a Niederurnen le “Schweizerische Eternitwerke AG”. La manodopera necessaria alla realizzazione di tubi, coperture e delle famose fioriere arriva principalmente dal Meridione d’Italia e in particolare dal Salento, con tanti emigranti in cerca di un lavoro sicuro per le loro famiglie. Un materiale pericoloso la cui produzione termina nel 1990, ma la cui nocività era riconosciuta sin dal 1962 e risaputa dalla stessa Eternit come risulta dagli atti del processo in corso e promosso dal magistrato Raffaele Guariniello del Tribunale di Torino contro il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, 63 anni, e il barone belga Jean Luis Cartier De Marchienne, di 93 anni, accusati di disastro colposo e omissione di cautele contro le malattie professionali. Sono ritenuti responsabili delle numerose morti per mesotelioma avvenute tra gli ex-dipendenti delle fabbriche Eternit a contatto con l’asbesto. 
Il Salento ha dunque dato e continua a dare il suo contributo di sangue alla prosperità della fabbrica di Niederurnen con tanti emigranti, provenienti in particolare dal Capo di Leuca, da cittadine come Tiggiano, Corsano, Andrano e Tricase, che forse sono ancora all’oscuro del destino che li attende cioè i sintomi delle malattie tumorali alla pleura e ai polmoni. Per chi ha lavorato negli stabilimenti svizzeri c’è solo, in caso di evoluzione grave, del riconoscimento della causa di servizio da parte del Suva (l’ente svizzero corrispondente dell’Inail) ma nella maggior parte dei casi i malati sono lasciati al loro destino senza alcuna copertura, anche in quanto la Svizzera non è all’interno della Comunità Europea. 
Ma qualcosa si muove per questi “dannati del lavoro”: da qualche anno grazie ad  un protocollo d’intesa tra l’associazione “Emigranti nel mondo” di Corsano presieduta da Biagio Mastria, l’Unione dei Comuni “Terra di Leuca” e la Asl di Lecce, il servizio di Pneumologia dell’ospedale di Gagliano del Capo diretto dal primario Wilson Castellano sta monitorando gli operai cercando faticosamente di rintracciare i superstiti e convincendoli a sottoporsi a visite periodiche. 
 
Il Salento come Casale Monferrato
 
Una storia che si ripete. Lo sappiamo che la storia è fatta di corsi e ricorsi, ma ce ne rendiamo conto quando questi scoppiano con una triste virulenza. Perché gli operai salentini colpiti da questa forma tumorale, il mesotelioma pleurico, non sono i soli in Italia e soprattutto non sono i primi. I primi casi dove si è sviluppata questa terribile forma di cancro sono stati registrati a Casale Monferrato, una ridente cittadina nella provincia di Alessandria, che oltre alle bontà enogastronomiche e i monumenti suggestivi, vanta il triste primato di una delle concentrazioni maggiori a livello nazionale di questo tipo di tumore. Questo a causa di una fabbrica, almeno secondo i medici, dismessa nel 1986, ma che per ottant’anni, ha prodotto l’eternit, prendendone il nome. 
L’edificio della “Eternit” esiste ancora, ma non è solo quello che fa ricordare quanto è avvenuto su quel territorio: ancora oggi le persone muoiono di mesotelioma pleurico, persone che hanno lavorato nella fabbrica, ma non solo. Soprattutto i familiari sono stati esposti, oltre ai lavoratori, perché alcuni residui rimanevano sulle tute da lavoro e contagiavano tutti coloro che vi venivano a contatto, anche non troppo stretto. Una situazione controversa quella di Casale Monferrato, per la quale si è arrivati a un processo, giunto in questi giorni alla 42sima udienza: nelle ultime battute, i dirigenti hanno affermato di non ricordare, scatenando l’indignazione delle oltre duemila vittime tra i lavoratori, che, invece, quello che è accaduto in questi trent’anni se lo ricordano bene. Non c’è ancora giustizia per queste morti ingiuste: uno dei dirigenti, Luigi Giannitrapani, ha persino dichiarato che l’amianto è dannoso solo se di cattiva qualità. A fronte di oltre 2mila morti per mesotelioma pleurico e altre forme tumorali legate alla diffusione dell’amianto, che valore assumono queste dichiarazioni?