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Reputazione senza credito

Il Tribunale di Galatina ha recentemente condannato il Monte dei Paschi di Siena a restituire oltre 125mila euro di interessi anatocistici ad un imprenditore salentino. È una vittoria importante, che giunge appena dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 5 aprile scorso che stabilisce così un principio fondamentale per la tutela dei cittadini e del loro risparmi 
 
14 anni di interessi percepiti illegalmente. È storica la sentenza che il Tribunale di Galatina ha emesso nei giorni scorsi nei confronti di una banca che per un lungo lasso di tempo ha continuato a ricevere somme relative a commissioni ed interessi di natura anatocistica. La storia è simile a quella di tanti altri cittadini, strozzati non solo dalla crisi ma anche dall’ingiusta riscossione da parte degli istituti di credito di somme a diverso titolo. Ma per il giudice Alessandro Maggiore del tribunale galatinese quanto percepito dal Monte dei Paschi di Siena dal 1989 al 2003 deve essere restituito al legittimo proprietario. 
Si tratta di circa 125mila euro che l’imprenditore, assistito dall’avvocato Tommaso Onesimo, aveva versato nell’arco del suo rapporto ultradecennale con l’istituto di credito. La sentenza si immette sul solco dei nuovi principi stabiliti recentemente (il 2 dicembre 2010) dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24418/10, pronuncia che si esprime sul divieto assoluto di applicazione di interessi bancari anatocistici. 
La difesa della banca aveva sollevato eccezione, affermando che la prescrizione decennale sarebbe dovuta decorrere dalla singola annotazione e non dalla chiusura del conto corrente. Ma il giudice non ha accolto la tesi proposta richiamando non solo i principi della sentenza emessa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ma soprattutto quanto affermato dalla recentissima sentenza emessa lo scorso 5 aprile dalla Corte Costituzionale (sentenza n.78/12) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma contenuta nel decreto mille proroghe chiamato anche “salva banche”, norma appositamente introdotta dal legislatore nel 2011 per salvaguardare l’anatocismo bancario. 
Una sentenza storica, dunque, che ha permesso all’imprenditore di riavere le somme pagate alla banca in tutti questi anni e che conferma  allo stesso tempo, la validità dei ricorsi di tutti i correntisti per la restituzione degli interessi illegittimi sin dall’apertura del rapporto bancario, sempre che il conto non sia stato chiuso da più di 10 anni. 
 
Interessi sugli interessi, ovvero l’anatocismo
 
L’anatocismo bancario consiste nella pratica, adottata da tutti gli istituti di credito italiani fino a qualche anno fa, secondo cui gli interessi a debito del correntista venivano liquidati in conto con frequenza trimestrale, mentre gli interessi a credito dello stesso erano liquidati con cadenza annuale. 
Ciò provocava un disallineamento nella maturazione degli interessi a debito, perché venivano calcolati interessi su interessi. Se un correntista aveva un conto in rosso per 10mila euro, la banca gli addebitava ogni tre mesi i relativi interessi; in questo caso, al tasso del 10%, erano 250 euro che si sommavano subito senza attendere la fine dell’anno il capitale a debito. Gli interessi successivi a debito venivano calcolati non più su 10mila euro ma su 10.250 euro e così via. Un sistema questo attraverso il quale il correntista si trovava a pagare, alla fine dell’anno, un monte interessi più alto rispetto al calcolo annuale. 
Il divieto dell’anatocismo (bancario e non) è sempre esistito nell’ordinamento giuridico in virtù dell’articolo n. 1.283 del Codice Civile che prevede testualmente che “gli interessi sugli interessi, in mancanza di usi contrari, sono ammissibili solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e solo se si tratti di interessi dovuti per almeno 6 mesi”. Le banche però erano legittimate a calcolare gli interessi in questo modo, applicando quanto avallato dalla giurisprudenza.