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“Pubblicità sessista”. E in Giunta arriva la petizione

In città è da poco ricomparso un manifesto pubblicitario che ritrae dodici donne in tanga. E diverse associazioni galatinesi ne chiedono con forza la rimozione 
 
“Perché ogni volta che un uomo ti invita fuori a pranzo ti scambia per il dessert?”. È quello che si chiede Peggy Olson in Mad Men, una pubblicitaria degli anni ’50, una donna in carriera, una pioniera che si batte perché il pregiudizio non accompagni più l’immagine delle donne. Ma ancora oggi, la donna sulle pubblicità rischia di essere solo angelo del focolare o strega sexy. Come è accaduto e sta accadendo ancora a Galatina, dove un manifesto ritraente dodici giovani donne in tanga aveva fatto la sua apparizione la scorsa primavera su un impianto collocato su un muro di un’abitazione privata. Il manifesto era poi sparito, a seguito delle polemiche ma non solo: Galatina, come altri comuni, aderendo ai dettami della Comunità Europea, aveva bandito le pubblicità sessiste dal suo territorio, adottando la moratoria proposta dall’Udi “Immagini Amiche”. 
Di recente il manifesto è tornato, con il suo slogan “Il miglior modo di farsi notare”. Sicuramente la pubblicità in questione si è fatta notare, ma forse non nel miglior modo, tanto che le associazioni Dna Donna, Udi Macare Salento, Intervalla Insaniae, Galatina 2000, Galatina Letterata, Galatina Arte Storia e Cultura hanno dato vita a una petizione, che sarà sul tavolo della prossima riunione di Giunta comunale. In questa petizione viene chiesta la rimozione del manifesto, un grande 6×3 sito in una zona molto trafficata, tra corso Porta Luce e via Luce. 
“È quello che c’è scritto e che è accompagnato all’immagine a essere maggiormente offensivo -spiega la galatinese Rosanna Verter, che già a primavera si schierò contro questo modo di fare pubblicità-, come se mostrare le terga sia in effetti il modo migliore di mostrare la donna”. “Se comunicare un messaggio ha un ruolo informativo e formativo, il vendere non può essere usato come persuasione a solo scopo commerciale, esaltando e strumentalizzando il corpo femminile -scriveva Verter su IlSedile.it- Un conto è l’arte un conto è il consumo. […] È possibile che dopo tante lotte per la parità di genere siamo qui oggi a denunciare la donna oggetto nella pubblicità?”. 
Sì, è possibile in una società in cui si dovrebbe anteporre la personalità, magari anche spigolosa, a un sicuramente più rotondo personale.  
 
Angela Leucci